È stato presidente di Azione Gay e Lesbica per 14 anni, e ha una prospettiva originale.
“Come tante persone che vivono storie di minoranza sono stato portato ad avere uno sguardo obliquo sul mondo”.
Comincia così, è già promettente, Massimo Ridolfi, il suo colloquio con La Firenze che vorrei. 14 anni da presidente di Azione Gay e Lesbica a Firenze. “Quasi una monarchia costituzionale”. L’ironia non manca. Sono stati anni, per il movimento, decisivi e difficili, tra la lenta fuoriuscita dallo stigma fino alle lotte per i diritti. Nel curriculum di Ridolfi c’è, anche, nel 2009 una battaglia, che fece scalpore, per il matrimonio con il compagno Emanuele.
Una laurea in scienze infermieristiche, poi una seconda, in fase di completamento, in antropologia; forse un’altra in storia. Inglese e francese nel suo bagaglio e, per non farsi mancare nulla e andare sul difficile, giapponese; dunque subito ci concediamo un’incursione sulla storia giapponese. Oda Nobunaga, lo shogunato, le “navi nere” del Commodoro, poi la modernizzazione guidata dall’alto, gli zaibatsu. Mi trova preparato.
Lavora a Bagno a Ripoli, vive alle Piagge, dove “avremmo dovuto essere i gentrificatori”. “Ora viviamo una realtà multiculturale e chi non ci voleva stare è andato via”. Confesso la mia simpatia per la città reale, fuori dalla città vetrina.
Conversiamo una sera al ristorante ebraico di fronte la sinagoga, perché Firenze, soprattutto dopo l’Unità d’Italia, ha dimostrato di essere una città della tolleranza, aprendosi a nuove comunità che hanno lasciato traccia nella cultura e nelle imprese. Ne riparliamo a un noto locale aperto da proprietari di origine egiziana e, naturalmente, Massimo si presenta super-accessoriato con l’ankh come orecchino e come catenina al collo.
Ci piacciono le persone originali e combattive e bisogna trovare un canale di dialogo con le varie comunità, anche con quella gay e lesbica. A mio giudizio fuori dal recinto del woke. Massimo, Firenze si considera molto tollerante e inclusiva.
“Inclusiva? Semmai indifferente”.
Che non è necessariamente un limite.
“Soprattutto per chi, allora, veniva dal paesello dove era guardato a vista”.
Come vedi la città?
“Ammetto: ultimamente Firenze la sfioro soltanto. Poi si parla sempre e solo di tramvia, che pare assorbire tutte le energie della Giunta Funaro, o di overtourism. Non è una città da vivere, oggi”.
Un giudizio su Funaro?
“Posso parlarne solo di quando era assessore al welfare. Fu una buona collaborazione”.
Accennavi all’inizio dell’essere minoranza. Ci piacciono le minoranze, non quelle rumorose ma quelle organizzate. Ti provoco. Oggi le grandi aziende, a partire dai colossi digitali, spingono per la diversità e l’inclusione e sembrano vendere un modello “arcobaleno” ben definito e direi standard.
“È proprio questo il cuore del problema, anche se non si è mai totalmente minoranza o maggioranza. Il consumismo non è una base reale per i diritti. I diritti non si acquisiscono per disponibilità economica, ma attraverso una costante lotta contro gli stereotipi e contro il potere”.
Come se ne esce, quindi?
“L’informazione. Ma ogni volta che si prova a parlarne nelle scuole, arrivano strali e polemiche. Io penso di ritenermi soddisfatto se riesco anche ad aiutare 3 o 4 persone, soprattutto in un momento di difficile accettazione del sé”.
Immagino non ti faccia impazzire il dibattito pubblico oggi.
“Destra, sinistra. La destra è fissata con Dio-Patria-Famiglia, la sinistra si accoda a quella costruzione – standard – arcobaleno e fa la paladina dei diritti. Anche meno!”
Si parla molto di campo largo, con il M5S.
“Già, il Cinque Stelle. Ricordo quando volevano votare contro il cosiddetto ‘canguro’ (una tecnica per disattivare l’ostruzionismo parlamentare, ndr) che serviva per approvare unioni civili”.
La Meloni?
“Non ce la fo'”.
La sua origine politica?
“Io con il Treno della Memoria, ad Auschwitz, ci sono stato. Con indosso il triangolino rosa”.
Lo dici quasi con una certa ironia.
“Sì, perché siamo vivi, anche se tornare indietro sui diritti – la storia insegna – è sempre possibile”.
È un rimosso di cui a destra si fa sempre una certa fatica a parlare.
“E gli ambienti di estrema destra – sembra incredibile ma è così –, con il culto del machismo, hanno tratti fortemente omo-erotici. E quelli di Casapound hanno la pratica – sadomaso – della cinghia-mattanza”.
Tocco un punto sensibile. È uscito La sinistra non è woke di Susan Neiman. Non è che il ripiegamento sui diritti ha distratto la sinistra dalle lotte sociali?
“Un po’ è vero, un po’ è un effetto del solito benaltrismo, vizio italiano. C’è un bel film: ‘Pride’. Un gruppo di gay e lesbiche si unisce allo sciopero dei minatori contro la Thatcher. Certo, è più facile fare propaganda sui diritti che trovare soluzioni ai problemi sociali. È un problema che c’è a sinistra, sebbene ci siano voluti anni per far diventare certi diritti presenti nelle agende di sinistra”.
Già, il cinema. Guardi un film come Mine vaganti e non puoi, non è possibile, avere in odio il “diverso”.
“E ora siamo fortunati. Ai miei tempi c’era solo… ‘Il vizietto’!”