FOCUS LFCV | La sentenza della Consulta sugli affitti brevi: una vittoria amara per Firenze, artefice della propria gentrificazione

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La Corte Costituzionale legittima le restrizioni, ma il danno urbano è già strutturale: tra housing negato e speculazione immobiliare, il turismo resta il vero vincitore

 

Di Roberto Vedovi

La Corte Costituzionale ha respinto integralmente il ricorso del Governo contro il Testo unico del turismo della Regione Toscana (legge n. 61/2024), confermando la legittimità delle norme che consentono ai Comuni di limitare le locazioni turistiche brevi in zone ad alta densità e di riconoscere la gestione imprenditoriale per certe strutture extra-alberghiere. Una decisione che rafforza gli strumenti locali contro l’overtourism, con esultanze da parte del presidente Eugenio Giani – che ha parlato di “grande vittoria” contro il “Governo Meloni” – e della sindaca Sara Funaro, che l’ha definita un punto fermo per un turismo sostenibile.

Ma c’è davvero motivo di festeggiare? In una città che nei primi 10 mesi del 2025 ha registrato oltre 9,7 milioni di presenze turistiche (con previsioni di superamento dei 15 milioni annui), con un rapporto di oltre 100 turisti per residente nel centro storico, questa sentenza appare come un rimedio tardivo e parziale in un quadro di profonda crisi abitativa, sociale e identitaria. Negli ultimi 20-25 anni, il Quartiere 1 (centro storico Unesco) ha perso oltre 30.000 residenti, scendendo da circa 95.000 abitanti negli anni ’90 a meno di 65.000 oggi, secondo dati statistici comunali e analisi demografiche.

Un esodo che ha svuotato i quartieri di famiglie, servizi essenziali e attività quotidiane, sostituiti da un’economia mono-dipendente dal turismo di massa, con un boom di affitti brevi passati da poche centinaia a oltre 12.000 unità. Le responsabilità principali non risiedono soltanto in questo fenomeno, ma in scelte urbanistiche comunali protratte per due decenni, che hanno sistematicamente favorito la turistificazione e la speculazione immobiliare, spesso a vantaggio del settore alberghiero tradizionale e di grandi fondi internazionali.

Il Comune di Firenze ha adottato una vigilanza selettiva: rigorosa verso i piccoli operatori (monitoraggi digitali e sanzioni sugli affitti brevi), ma permissiva verso maxi-progetti legati a catene alberghiere o investitori esteri. Un esempio concreto è l’alienazione di contenitori storici pubblici: negli ultimi anni, complessi come ex caserme, ex ospedali e palazzi storici sono stati venduti a privati (spesso tramite fondi o investitori internazionali) per essere trasformati in strutture ricettive di lusso, sottraendo spazi potenzialmente destinati a housing sociale o funzioni pubbliche.

Altro aspetto critico è la monetizzazione degli standard urbanistici: invece di obbligare i costruttori a cedere gratuitamente aree per parcheggi, verde pubblico o servizi (come previsto dalla legge nazionale), il Comune ha spesso permesso di pagare un corrispettivo in denaro. Questo ha facilitato interventi edilizi più redditizi, ma ha ridotto le dotazioni collettive nel centro, peggiorando la vivibilità per i residenti. La stessa legge regionale confermata dalla Consulta ne è un esempio lampante: permette agli hotel di aumentare la capacità ricettiva fino al 40% associando appartamenti residenziali entro 200 metri, cambiando destinazione d’uso e consentendo alle grandi strutture di espandersi “fagocitando” i piccoli affittacamere vicini, a scapito della residenza stabile.

Gli scandali urbanistici recenti evidenziano questa linea: il “cubo nero” sull’ex Teatro Comunale, un complesso di lusso con appartamenti per affitti brevi, contestato per l’impatto sullo skyline Unesco, ha portato a un’inchiesta della Procura per possibili abusi edilizi, con interventi del Ministero della Cultura e critiche per autorizzazioni permissive; l’ex Convitto della Calza, venduto dalla Curia e trasformato in hotel-ristorante nonostante irregolarità, ha ricevuto sanzioni e ordinanze di cessazione; l’ex ospedale San Gallo in via Sangallo, ceduto a un gruppo di Singapore, diventerà un resort di lusso con un mix funzionale sbilanciato (circa il 63% turistico-ricettivo, secondo critiche di associazioni cittadine), tra proteste per l’impatto sul quartiere.

Queste operazioni, avviate con varianti urbanistiche permissive dagli anni 2010, hanno accelerato la gentrificazione: chiusura di migliaia di botteghe tradizionali (oltre 30.000 in 25 anni secondo Confcommercio), sostituite da esercizi per turisti; prezzi immobiliari alle stelle; residenti espulsi verso la periferia. In questo contesto, emerge l’impressione che le politiche comunali favoriscano un turismo di fascia alta, che spende di più e lascia entrate significative alle casse pubbliche – come la tassa di soggiorno, tra le più elevate d’Italia (fino a 10 euro a notte nelle strutture di lusso dal 2025) e che ha generato record di incassi (oltre 76 milioni nel 2024, primi in Italia escludendo Roma).

Un modello che privilegia flussi redditizi, ma a costo di una città sempre più “vetrina” per visitatori facoltosi, ma priva dei fiorentini. Senza una energica inversione di rotta – priorizzando housing sociale, bloccando speculazioni, riequilibrando l’offerta ricettiva senza favoritismi settoriali – Firenze rischia di diventare un museo a cielo aperto: affascinante per i visitatori, invivibile e priva di anima per chi ci abita. Le amministrazioni locali, principali artefici di questo processo, hanno ben poco da celebrare.