di Anna Checcoli
Amministrare una realtà sociale o istituzionale necessita di una visione programmatica virtuosa che si realizzi in azioni volte al benessere della cosa pubblica. Lavorare al bene lavorando bene, dunque, e ciò non può prescindere da un aspetto etico.
L’etica non è la stessa cosa della morale, in quanto quest’ultima attiene alla collettività e può variare in base alle epoche, ai costumi, alle tradizioni. Al contrario, la prima è un concetto immutabile, che attiene alla coerenza, al corretto comportamento, al sentire individuale.
Parlare di infrastrutture, di investimenti, di riportare la città ad una condizione vivibile e decorosa è importantissimo, ma le persone, a mio parere, hanno bisogno di amministratori che operino in base a principi solidi, che agiscano per il recupero di ideali che siano alla base di una società correttamente funzionante e non disfunzionale.
Quello che auspico, quindi, è che gli amministratori di questa città tornino a parlare di valori e li mettano in pratica, che stimolino nei cittadini il ricordo di un patto sociale basato, appunto, sul rispetto, sulla virtù, sull’ascolto, sulla trasparenza e sulla dignità. (In realtà è un desiderio che vorrei si realizzasse a livello nazionale e sovranazionale).
Sui manifesti elettorali si leggono promesse, si parla dell’ottenimento di risultati, quasi declassando ciò che un tempo era alla base della convivenza civile: l’onestà, il recupero dei rapporti di buon vicinato, dell’aiuto reciproco, dell’educazione, del rispetto verso l’altro e verso il pensiero altrui. La situazione attuale ci mostra in modo evidente, invece, che tutto questo è stato quasi totalmente perduto in nome di una corsa verso l’acquisto smodato e compulsivo, e anche in nome di una sorta di guerriglia fra poveri volta a far sì che le proprie convinzioni (spesso infondate) prevalgano a qualsiasi costo su quelle dell’altro.
Quindi, in nome dell’etica, amministratori e politici che si rispettino dovrebbero utilizzare il denaro pubblico in modo intelligente e, per il possibile, corretto, al fine che i lavori necessari vengano eseguiti a beneficio della comunità e non disinteressandosi delle esigenze dei cittadini in nome della speculazione.
È necessario che gli abitanti di questa città riacquistino fiducia nei propri amministratori, così come è di immediata necessità provvedere al problema della sicurezza. Introdurre sconsideratamente persone qui giunte in conseguenza di una sorta di deportazione forzata, soggetti in molti casi problematici anche al loro paese, non può portare a conseguenze positive (lo vediamo tutti i giorni).
La vera inclusività, la vera accoglienza è quella che apre un dialogo con le comunità che si sono radicate a Firenze, che qui lavorano, hanno famiglia e rispettano le leggi dello Stato.
I nostri concittadini quanto conoscono della cultura e delle tradizioni indiane, per esempio? E sudamericane? Cinesi? Una amministrazione che esercita i propri compiti eticamente organizza incontri, manifestazioni, conferenze, feste tradizionali per fare incontrare i fiorentini con queste realtà. Il resto non è accoglienza, è speculazione e deriva sociale.
Il problema della sicurezza è gravissimo. Un tempo Firenze era una delle città più sicure, dove una ragazza, una donna, potevano tornare a casa a tarda sera praticamente senza pericoli. Oggi che il problema femminile è così sentito, l’attuale amministrazione come concilia la percezione distorta di una presunta sicurezza con il reale pericolo, particolarmente per le cittadine, che ogni giorno esse sono costrette ad affrontare camminando per strada e addirittura sui mezzi pubblici? (In particolar modo la tramvia).
Nella mia opinione, quindi, per primi devono essere i rappresentanti politici a ripristinare un sentire etico collettivo. Senza questo, nulla potrà essere fatto, perché qualunque iniziativa sarà sempre inficiata ab origine, da ambedue le parti.
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