Di Sabrina Tanini
Qualche settimana fa, nel mondo dei social si è levato il consueto coro di indignazione da parte di una certa intellighenzia gauchista fiorentina, che ha bollato la vendita degli appartamenti di lusso in Palazzo Serristori come una sorta di saccheggio del patrimonio storico da parte di biechi miliardari, che, privi di qualsiasi legame con Firenze, faranno di questo luogo una “quinta” per le loro “scorribande” in città. Secondo alcuni commenti che sono girati online, si tratterebbe nientemeno che di uno scippo ai danni del “pubblico”. Ancora una volta, si grida allo scandalo ideologico, ignorando i fatti e semplificando una questione complessa in nome di quello che ormai sembra un riflesso condizionato.
Come spesso accade ai nostri amici progressisti, si procede per dogmi e pregiudizi, non per analisi dei fatti. E poiché i fatti hanno questa scomoda abitudine di essere testardi, proviamo a ricordarne qualcuno: Palazzo Serristori, oggi come ieri, è proprietà privata. Non è mai stato un bene pubblico, e anzi è appartenuto per secoli a una delle famiglie più antiche e prestigiose di Firenze. È rimasto chiuso e abbandonato per anni. Se oggi gli eredi decidono di valorizzarlo attraverso la vendita frazionata, lo fanno nel pieno diritto riconosciuto a qualsiasi proprietario. Non esiste alcuna spoliazione del patrimonio collettivo, semmai un recupero di un bene che, altrimenti, rischiava il degrado. Ora, le famiglie che ereditano palazzi storici non ereditano solo fascino e blasoni, ma anche spese considerevoli: tasse, manutenzione, vincoli, adeguamenti. Saranno libere, queste famiglie, di vendere le loro case a chi ha le risorse per mantenerle? Parrebbe di no, leggendo certi commenti online.
E allora la domanda diventa inevitabile: cosa propongono, esattamente, i paladini del bene comune? Trasformare uno dei palazzi più belli della città in un complesso di edilizia popolare? Magari con vista sull’Arno, a canone agevolato? Sarebbe un esperimento interessante, certo, ma forse meglio farlo con le proprietà altrui. Perché no, Palazzo Serristori non è mai stato pensato per ospitare né case popolari né uffici comunali. La sua stessa struttura — architettonica e storica — parla di fasto, prestigio, sontuosità. Da secoli.
Eppure, c’è chi sognerebbe di vederlo occupato da chiunque — purché non abbiente, ça va sans dire. Con buona pace del valore storico e artistico. Io, al contrario, dico: ben vengano i privati — italiani o stranieri — che hanno i mezzi e la volontà di investire nel nostro patrimonio. Se lo Stato non può intervenire per mancanza di fondi, non vedo perché debbano essere demonizzati coloro che lo fanno al suo posto. Ai nostri zelanti urbanisti progressisti vorrei anche ricordare un piccolo dettaglio: la giunta Renzi ha introdotto il piano urbanistico a “volumi zero”. Tradotto: niente nuove costruzioni. Ergo, siamo costretti a ristrutturare l’esistente. Ma se si impedisce di costruire, e si condanna anche chi recupera, allora cosa ci resta? Forse il gusto un po’ retrò per il fatiscente?
E allora, perché il Comune non si preoccupa di sistemare le centinaia di case popolari sfitte o in condizioni inabitabili? Perché non riduce il costo dell’acqua, che rimane il più caro d’Italia? Perché continua a tartassarci con multe e controlli severi? Domande rimaste senza risposta, mentre per alcuni fiorentini il vero problema sembra essere l’arrivo del miliardario, italiano o americano che sia, deciso a comprare un appartamento e trascorrervi qualche mese all’anno. Una figura che, ancora nel 2025, viene vista come il male assoluto: sfruttatore, deturpante del paesaggio, nemico della “vera città”.
Curiosamente, sarebbe opportuno rivolgere una certa dose di indignazione anche alla diffusione degli Student Hotel, molti dei quali ricavati, tra l’altro, in edifici pubblici o in aree di proprietà comunale. Il primo, su viale Lavagnini, si può anche accettare. Il secondo, alla Manifattura Tabacchi, passi. Ma il terzo, su viale Belfiore, è sinceramente un pugno nell’occhio. Pare che lo studente straniero, purché provvisto di zaino ecosostenibile e abbonamento al tram, goda di una sorta di impunità estetica e politica.
La verità è che anche i miliardari — sorpresa! — contribuiscono all’economia della città. Magari non con il panino in piazza, ma con ristoranti, gallerie, artigiani, restauratori, e forse anche un pizzico di buon gusto. Se si fermano, se comprano, se investono, fanno esattamente ciò che da decenni diciamo di volere: un turismo di qualità.
Personalmente, fossi al Comune, proporrei loro la cittadinanza onoraria. Sì, a loro.