Continua l’emergenza sicurezza in Toscana. Quando guidare un autobus diventa un mestiere pericoloso

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Di Simone Margheri

Di fronte all’ennesima aggressione ad un autista di linea in Toscana, viene spontaneo chiedersi: quanto ancora dovremo aspettare prima che la sicurezza nel trasporto pubblico venga trattata per quello che è – un’emergenza quotidiana? L’ultimo caso è accaduto pochi giorni fa. Un autista, al volante del suo mezzo, è stato preso a pugni alla testa da un passeggero. Non c’erano motivi apparenti, non c’era stato alcun conflitto. Un atto di violenza gratuita, brutale, inaccettabile.

Ma tutt’altro che isolato. Secondo i dati disponibili, nel 2023 si sono registrati 34 infortuni da aggressione tra i conducenti toscani. Nel 2024 sono scesi a 30, ma si tratta solo della punta dell’iceberg. Gli episodi non denunciati – minacce, insulti, pressioni psicologiche – sono quotidiani. E troppo spesso finiscono per essere archiviati come “parte del mestiere”.

Eppure non dovrebbe essere così. Chi svolge un servizio pubblico ha il diritto di lavorare in sicurezza. E la collettività ha il dovere di garantirlo. Autolinee Toscane ha investito in cabine chiuse, telecamere a bordo, sistemi di allarme collegati alla centrale operativa. Interventi importanti, certo. Ma non sufficienti. Perché la questione non è solo tecnica: è culturale, istituzionale, politica. C’è un problema strutturale che riguarda la percezione del trasporto pubblico, la solitudine dei lavoratori, l’assenza di una risposta coordinata da parte delle istituzioni. In troppi casi le aggressioni sono derubricate a episodi marginali. Invece sono segnali chiari di un clima che si sta deteriorando, dove l’aggressività trova spazio e impunità.

I sindacati chiedono da mesi un tavolo permanente con le Prefetture, misure straordinarie di prevenzione, più controlli, sanzioni più efficaci. Hanno ragione. Perché non si può chiedere a un autista di mediare con chi rifiuta il biglietto, di affrontare passeggeri alterati, di gestire situazioni di rischio fisico – spesso in completa solitudine. E non è solo una questione di tutela dei lavoratori. La sicurezza a bordo riguarda anche i passeggeri. Un ambiente ostile, imprevedibile, poco presidiato mette a rischio tutti. E mina la fiducia nei confronti del servizio pubblico.

Se le aggressioni non si fermano, è evidente che quanto fatto finora non basta. Non bastano le telecamere, se poi manca il presidio sul territorio. Non basta la formazione, se manca la copertura legale e psicologica per chi subisce un trauma. Non bastano le dichiarazioni di solidarietà, se restano prive di conseguenze operative. La sicurezza non può più essere considerata un “costo”. È un prerequisito. Ed è una responsabilità condivisa tra azienda, istituzioni, sindacati e cittadini. Continuare a sottovalutarla significa normalizzare la violenza.

Guidare un autobus non dovrebbe richiedere coraggio. Ma in Toscana, oggi, lo richiede. Purtroppo avevamo già fatto non molto tempo fa un articolo per lo stesso problema, ma a quanto pare al di là dei proclami la Regione non è riuscita a trovare una soluzione efficace. È evidente che il tema sicurezza non rientra nel DNA delle amministrazioni di centro sinistra e purtroppo almeno per qualche mese la situazione non è certo destinata a migliorare.

I Toscani avranno presto l’occasione di poter cambiare la situazione della sicurezza eleggendo chi denuncia da sempre il fatto che sussiste un problema sicurezza. In caso contrario potranno confermare la fiducia a chi dà decenni sostiene che la sicurezza è solo un problema di percezione.

 

Articolo ripubblicato per gentile concessione dell’autore.
Originariamente pubblicato su Ad Hoc News il 3 agosto 2025.

Foto: Copyright Fotocronache Germogli