Di Maria Romana Bergamaschi
Sono ormai più di trent’anni che il PD “governa” ininterrottamente la Toscana e Firenze. In un paese normale, una simile anomalia democratica verrebbe chiamata con il suo nome: una forma di regime. Ma siccome a detenere il potere è il PD, si preferisce usare l’espressione “fortino rosso” — una definizione curiosa, quasi minacciosa, come a voler sottolineare che quel fortino è inespugnabile. Quanto poi ci sia ancora di “rosso” in quel fortino, è tutto da vedere: da Prodi in poi, il loro partito pullola di ex democristiani che si sono riciclati per per occupare una poltrona.
I regimi si fondano sul terrore per annientare la volontà popolare. Qui, invece, la strategia è stata più subdola, ma altrettanto efficace: attraverso una rete capillare di controllo e disincentivo, si è fatto di tutto per scoraggiare la partecipazione attiva dei cittadini. Il risultato? Un’intera popolazione progressivamente spinta alla rassegnazione, convinta che nulla possa più cambiare e che la propria voce non abbia alcun peso. È stato instillato un senso di impotenza collettiva, una forma moderna di sudditanza psicologica. Per parafrasare Dante: “Lasciate ogni speranza, o voi che abitate in questa città e in questa regione.”
Giani ha annunciato in ritardo le date delle elezioni regionali, con l’evidente intento di ostacolare la nascita di liste civiche capaci di mettere in discussione il suo dominio. Intanto, alle ultime amministrative, il 51% dei fiorentini ha scelto di non votare: un dato allarmante, ma in fondo coerente con la strategia di sempre del PD: una Firenze al “plurale” solo nel nome, dove una minoranza di fedelissimi garantisce al partito la continuità del potere, in cambio di qualche posto al sole e di una fedeltà ben ricompensata.
Il PD detta le regole, poi le infrange non appena smettono di servirgli. Il partito non esprime idee ma dogmi, e se questi cambiano strada facendo, poco importa: la verità è sempre quella dell’ultimo che ha il microfono. Ipse dixit. Così, quando Nardella ha indicato il suo successore, il partito ha celebrato l’annuncio come l’alba di una nuova era democratica. Forse ho un vuoto di memoria, ma ricordo bene quando il PD attaccava gli altri partiti sostenendo di essere l’unico a fare le primarie — l’unico, dicevano, a rispettare davvero la volontà popolare. Evidentemente, per Firenze non vale: forse perché è patrimonio UNESCO? O forse perché, essendo un fortino rosso, tanto vale evitare di disturbare i cittadini? Del resto, la successione ereditaria funziona benissimo quando si governa senza opposizione.
Nardella silura in malo modo Cecilia Del Re dal suo consiglio comunale, e tutto tace. Una mossa che ricorda più uno stalinismo in salsa democratica che una normale dialettica politica. Ma d’altronde, la realtà di come hanno amministrato la regione e la nostra martoriata città è davanti agli occhi di tutti: a simbolo di tutto ciò resta quel mostro di acciaio nero, un cubo lugubre che svetta dietro i palazzi ottocenteschi del lungarno. Più che un edificio, sembra una gigantesca pietra tombale sotto cui hanno sepolto l’anima di Firenze.
Ma tranquilli: la sindaca Funaro e il sempre stimatissimo Giorgio hanno mantenuto la loro promessa. Questa è la “Firenze moderna” che sognavano: viali senza alberi, treni vecchi di trent’anni, strade deserte, colate di cemento ovunque. Mi rimane solo un’ultima domanda: quando è prevista l’apertura della SPA a Palazzo Vecchio, magari con vasca idromassaggio panoramica nel Salone dei Cinquecento?
Foto: Copyright Fotocronache Germogli