Dalla città viva alla città vetrina: Firenze e le strategie urbane per espellere chi lavora, e accogliere chi consuma

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Ovvero: come favorire l’overturismo e ridurre la popolazione residente
eliminando i parcheggi con la scusa della sostenibilità

 

Di Vincenzo Freni

Nel corso di Sociologia alla facoltà Cesare Alfieri, nel libro del professor Luciano Cavalli (scomparso nel 2021) veniva citata come pietra di paragone l’opera dei fratelli Lynd: Middletown, seguita vent’anni dopo dal suo sequel Middletown in Transition. Due indagini che avevano messo a confronto presente e passato per comprendere come e perché la città cambiava nel tempo, esattamente come nel famoso esempio pubblicitario dei prodotti di bellezza che ti mostrano il “prima” e il “dopo” la cura.

È con questo stesso spirito – tra il rigore accademico e una certa amarezza esistenziale, che mi accingo a raccontare il caso di un’altra Middletown contemporanea, reale, osservata nel pieno della sua “transizione”. Una città d’arte che, nel nome della sostenibilità, della bellezza urbana e della qualità della vita (degli altri), ha scoperto un ulteriore metodo formidabile per espellere i residenti: eliminare i parcheggi. Apparentemente si tratta di scelte legate alla mobilità sostenibile e alla qualità dell’aria. Nella realtà dei fatti, invece, emerge una strategia sistematica e di lungo periodo finalizzata ad espellere chiunque abbia bisogno dell’automobile per lavorare, curare e vivere.

Nella nostra nuova “Middletown”, per riprendere la definizione dei Lynd, stanno costruendo la tramvia. La tramvia non collega i quartieri: li separa. Il suo arrivo comporta l’esproprio totale di carreggiate, parcheggi e persino memoria viaria. Una volta c’erano le strade. Ora ci sono i binari che hanno trasformato l’intera strada in stazione ferroviaria, privata degli alberi. Nient’altro se non pali elettrici.

Segue la moltiplicazione delle piste ciclabili. Anche in quei luoghi dove nessuno ha mai visto pedalare nessuno. Non importa: la loro sola esistenza è un atto etico, giustifica la cancellazione di parcheggi. Nessuno mette in discussione l’importanza di corsie e percorsi sicuri per chi va in bici, ma è impossibile non notare come la loro realizzazione diventi spesso un pretesto per sottrarre definitivamente posti auto.

Nella lista delle dolenze non si può dimenticare lo Scudo Verde, che limita l’ingresso e sanzionerà una buona quota di auto in Middletown, con telecamere ovunque per interrogare il database delle auto non più verdi. E poi c’è Cerbero, il Sistema Anti-Sosta Selvaggia: un nome mitologico per il nuovo guardiano degli inferi trasformato in vigilante digitale dei divieti di sosta. La tecnologia al servizio dell’espulsione.

Chi poi pensa che i rifiuti vadano raccolti dove servono, si sbaglia. A Middletown vanno messi dove disturbano, così impari! L’arredo urbano è diventato strategico. Cassonetti dell’umido, della carta, del vetro… tutti posizionati dove prima si parcheggiava. È davvero impossibile raccogliere i rifiuti in altro modo? O è proprio questo il punto? Il calendario di pulizia stradale non può essere dimenticato, specie se ti trovi in una zona di confine con un’altra zona. In questo caso l’effetto cumulativo è devastante: chi ha un’auto quando la sera torna a casa dopo il lavoro (incredibile c’è chi lavora) passa più tempo a cercare parcheggio che a guidare.

Cordoli, semafori e geometrie stradali punitive. Angoli un tempo parcheggiabili ora sono stati “rieducati” e vietati alla sosta “per visibilità”, e la mattina il cittadino si sveglia con una nuova sorpresa: “Dove ho parcheggiato ieri, oggi è vietato”. Le strisce bianche e blu cancellate, sostituite da cordoli o da passi carrabili con diritto di posteggio unilaterale: il titolare sì, tu no. Anche la semaforizzazione è diventata un’arte. Ogni incrocio una performance. Ogni restringimento un successo per ridurre i parcheggi. 

I posti per disabili e le corsie riservate si moltiplicano, giustamente, ma sono posizionati in modo da sottrarre ulteriori spazi alla mobilità generale. E poi che dire delle colonnine per auto elettriche perennemente vuote? Postazioni che eliminano posti auto e sono più simbolo che servizio. Senza dimenticare le zone destinate ai monopattini che sottraggono spazio anche sui marciapiedi, restringendo strade e parcheggi.

Qualcuno nota che i parcheggi esistono. Si, a costi insostenibili. I pochi posti auto rimasti sono gestiti con tariffe esorbitanti esponenziali rendendo di fatto impossibile l’accesso al centro urbano e conseguentemente provocando la chiusura dei negozi storici e di vicinato (il Mercato centrale e la sua trasformazione in attrazione turistica è la dimostrazione plastica di questa strategia). I pochi posti auto rimasti sono presidiati da richiedenti l’obolo per guidarti nelle manovre del parcheggio.

Il mantra del marketing recita: “No parking, no business.” L’ho insegnato nei corsi di questa disciplina, lo si dovrebbe ripetere nei piani urbanistici. E invece. Le botteghe storiche di Middletown hanno chiuso a grappoli, non per colpa di Amazon come ci viene raccontato, ma perché i clienti non possono accedere e neanche fermarsi. Sarà un caso, ma lungo i binari della tramvia molti negozi hanno abbassato i bandoni (si chiama causa\effetto).

C’è infine un ultimo aspetto, tanto visibile quanto irritante: i cantieri a tempo indeterminato e i lavori stradali. Il principio è semplice: si chiude una strada, si vieta la sosta, si rimuovono forzosamente i veicoli e… il cantiere rimane lì, immobile. Giorni e settimane di divieti, ma sulla strada non si vede nessuno al lavoro. L’impressione è chiara: l’obiettivo è soprattutto demoralizzare chi possiede un’auto e non ne può fare a meno.
E poi c’è il business delle multe. Il moltiplicarsi dei divieti e dei posti riservati è legato a una pioggia di sanzioni che grava sui cittadini, trasformando la mobilità in una tassa occulta e di fatto in un incentivo all’esodo. Chi necessita di mobilità – residenti, operatori sanitari, genitori, artigiani, viene messo sotto pressione.

A Middletown resiste una piccola schiera di cittadini e lavoratori essenziali: artigiani, idraulici, infermieri, medici e genitori, che continuano a percorrere la città e a tentare di accedervi malgrado gli ostacoli.

Resta una domanda amara e sospesa nell’aria: se una città respinge chi la rende viva, è ancora una città? O è solo una vetrina per il turista? È chiaro che la riduzione forzata dei parcheggi, se non accompagnata da misure intelligenti e compensative, rischia di produrre effetti socialmente regressivi, penalizzando proprio le persone che hanno una mobilità necessaria e non opzionale. Forse non è più una città. Forse è diventata una destinazione, un brand. I residenti veri, quelli che devono alzarsi alle 6, portare i bambini a scuola, andare a lavorare a turni, visitare un paziente, sono diventati gli ultimi mohicani in lotta per un parcheggio, per un diritto, per un’idea di città che non sia solo scenografia.

E intanto gli altri arrivano, scattano foto, bevono spritz e calici di vino dalle finte buchette e mangiano cibo spazzatura, poi se ne vanno. Ah, come sono soddisfatti di aver visto un’altra città d’arte senza sapere chi c’era, né chi è stato cacciato, sì: cacciato, per far posto a loro.