Manutenzione o disastro ambientale? Così sfalci e rifiuti trasformano i torrenti fiorentini in scenari di degrado
e vettori di microinquinamento
Mentre La Nazione annuncia trionfante che l’Arno diventerà presto balneabile, basta una passeggiata lungo i torrenti fiorentini per capire che — a meno di un’improvvisa evoluzione negli usi e costumi dei fiorentini — ci faranno il bagno solo le nutrie.
Le rive del torrente Mugnone negli ultimi giorni raccontano storie talmente poco invitanti che persino le nutrie probabilmente hanno voglia di trasferirsi altrove: una segnalazione via Facebook mostra un numero impressionante di plastiche sminuzzate che sono ormai tutt’uno con il terreno sulle sponde del Mugnone lungo l’elegantissima via XX Settembre: luogo che non dovrebbe, ma che in queste foto ricorda troppo da vicino le orribili vedute del Gange inquinato.
Non è solo una questione estetica, ma anche un serio danno ambientale. I rifiuti si accumulano e restano abbandonati per mesi, talvolta anni, mentre le piante ripariali crescono indisturbate. Quando finalmente si interviene con la falciatura, gli addetti allo sfalcio sminuzzano insieme all’erba anche i rifiuti, disperdendo così plastiche e microplastiche nel terreno e nell’alveo dei torrenti. Questa malagestione del verde urbano e dei corsi d’acqua nel Fiorentino è semplicemente inaccettabile, e lontana anni luce dagli standard del resto d’Europa. I metodi adottati per la manutenzione delle rive finiscono per alimentare un inquinamento irreversibile, e questo problema si ripete in modo sistematico.
Il soggetto deputato alla manutenzione delle rive fiorentine è il Consorzio di Bonifica Area Medio Valdarno, un ente che da sempre ci costa cifre stellari (in Toscana i consorzi di bonifica com’è noto gestiscono bilanci per 132 milioni di euro e impiegano oltre 500 dipendenti). L’ente è preposto a gestire la pulizia degli argini e la prevenzione delle esondazioni. Nei fatti, però, ogni temporale riporta l’emergenza: tombini otturati, caditoie di regimazione bloccate, fino alle piene improvvise che devastano intere aree del comprensorio. Nonostante costi elevatissimi in termini di contributi obbligatori e trasferimenti pubblici, troppo spesso le operazioni sono inefficaci, e diversi studi e inchieste in tutta Italia hanno evidenziato criticità analoghe in molti dei consorzi di bonifica italiani: conti in rosso, personale amministrativo sovradimensionato e dirigenti super-pagati, livelli minimi di interventi realizzati rispetto a quanto pianificato, e una gestione che pare più focalizzata su poltrone che sulla cura e protezione del territorio.
Il Consorzio glorifica la propria attività mostrando interventi “in somma urgenza” post-maltempo (interventi finanziati con 12 milioni di euro per 15 cantieri in provincia fiorentina). Ma avremmo bisogno di manutenzione programmata, prevenzione e strumenti operativi efficaci. Nel caso dei nostri poveri torrenti, le plastiche frammentate finiscono direttamente nelle acque, penetrano nel suolo, contaminano l’ecosistema delle rive e, una volta sfociate, contribuiscono all’inquinamento marino.
La soluzione, in realtà, sarebbe semplice: serve un protocollo chiaro che imponga la rimozione dei rifiuti prima dello sfalcio, altrimenti ogni intervento finirà per peggiorare il danno ambientale. A questo va aggiunto un chiaro coordinamento con la Direzione Ambiente del Comune, l’impiego di squadre miste adeguatamente formate e in grado di raccogliere i rifiuti prima che vengano sminuzzati insieme alle erbacce e trasformati in microplastiche.
Finchè questo non verrà fatto, il degrado ambientale continuerà a dominare le rive dei nostri fiumi e torrenti, e le microplastiche si moltiplicheranno senza sosta: un disastro che si rinnova stagione dopo stagione. E alla fine se ne andranno via anche le nutrie.
Foto: Facebook