Dove la politica diventa spettacolo: reportage semiserio tra gli assessorati più improbabili tra deleghe alla bellezza, al nulla, alla felicità e altre meraviglie italiane
Di Nadia Fondelli
In un Paese di santi, navigatori e soprattutto poeti, che possiede da secoli il talento di trasformare la realtà in racconto e il racconto in istituzione, era forse inevitabile assistere, nel corso degli ultimi anni, alla nascita di assessorati che sembrano usciti più da un romanzo surreale che dalla polis.
Eppure sono tutti veri e tutti, per più breve o lungo tempo, operativi a livello comunale: bellezza, felicità, gentilezza, nulla, gusto e disgusto, sogni e via via in un pantheon di deleghe che oscillano con grazia tra l’illuminato e l’improbabile.
All’inizio dell’apparire di queste deleghe sembrò quasi di essere catapultati un secolo indietro, quando Tommaso Marinetti e i suoi adepti, dopo aver firmato il “Manifesto futurista”, risposero con provocazioni simili al degenerare dei tempi. L’Italia, dopotutto, è una nazione che ha elevato l’estetica a dovere morale, la lamentela a sport nazionale e l’ironia e la provocazione a strategia di sopravvivenza. Era naturale che prima o poi qualcuno provasse a trasformare tutto questo in un organigramma? Forse sì, specie se l’iniziatore di tutto risponde al nome di Vittorio Sgarbi. Molti più dubbi ci rimangono su coloro che poi, con risultati non certo passati ai posteri, hanno tentato di imitarlo.
Ultimo in ordine di tempo: il ri-governatore della Toscana, Eugenio “genio” Giani, che ha elevato cotante deleghe a rango regionale.
Salemi: l’esperimento culturale che diventò amministrazione comunale
C’è un luogo preciso dove tutto ebbe inizio, come accennato, ed è bene in questo nostro breve excursus partire da lì. Un luogo bellissimo, adagiato sulle colline siciliane, mai rinato dopo il terremoto del Belice del 1968: Salemi, laboratorio politico e artistico di Vittorio Sgarbi. Negli anni del noto critico come primo cittadino (fra il 2008 e il 2012), il comune siciliano sembrò animato da un fervore neorinascimentale che attirò personaggi di fama dell’arte, della cultura e della musica a ricoprire incarichi pubblici, trasformando la sua giunta più in un varietà del sabato sera che in una giunta municipale.
L’idea nobile del geniale Sgarbi era attirare l’attenzione mediatica e culturale per il rilancio del borgo, con nomi noti per dare risalto a progetti di promozione culturale e vendita simbolica di case a un euro per il recupero. Le nomine eccentriche erano quindi sia una provocazione politica futurista, sia una strategia di marketing politico per attirare attenzione nazionale su Salemi.
La stagione di Oliviero Toscani, fotografo di fama mondiale nominato assessore alla creatività (ma anche alla comunicazione e ai diritti umani), durò pochissimo e si concluse per frattura nel rapporto col sindaco. Più lunga l’esperienza di Morgan (all’anagrafe Marco Castoldi), indicato come assessore all’ebbrezza in una nomina dall’evidente valenza simbolica, provocatoria e mediatica. Graziano Cecchini, lo stravagante artista che fece rotolare dalla scalinata di Piazza di Spagna a Roma 495 mila palline di plastica colorate, fu nominato assessore al nulla; mentre lo chef Fulvio Pierangelini ottenne la nomina all’assessorato delle mani in pasta, e la delega al gusto e disgusto andò al gastronauta Davide Paolini. Infine il noto psichiatra Paolo Crepet, ultimo in ordine cronologico degli assessori mediatici sgarbiani, venne nominato assessore ai sogni.
A Salemi oggi in tanti non ricordano le performance di questi assessori esterni a libro paga del comune né le deleghe della squadra di governo, ma ricordano bene il fervore culturale e mediatico e la presenza di giornalisti e conferenze stampa come se piovesse. Fu un periodo che molti ricordano come “divertente”, chiuso mestamente con conflitti interni e lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
La delega alla bellezza: una promessa così ampia da diventare poesia
Il più celebre fra gli assessorati creativi che ogni tanto spunta in qualche comune d’Italia è probabilmente quello alla bellezza. In un paese come il nostro, dove la bellezza è ovunque e quindi continuamente in difficoltà, la delega si presta a interpretazioni infinite.
Secondo alcuni dovrebbe occuparsi dell’estetica urbana; secondo altri della qualità della vita; secondo altri ancora della necessità tutta italiana di proclamare ciò che si ama senza sempre riuscire a prendersene cura. In ogni caso, la sua sola esistenza rende felici i comunicati stampa, che finalmente possono aprire con frasi come: “La giunta si impegna a valorizzare la bellezza diffusa del territorio.” E chi potrebbe essere contrario?
La rivoluzione gentile, dai festival agli assessorati
Tra le deleghe più moderne, nate dal diffondersi anche dei festival omonimi, spicca quella alla gentilezza, adottata già da oltre 100 comuni italiani. Il primo fu Rivarolo Canavese. Il mandato è di fatto semplice: promuovere le buone maniere, il rispetto e i linguaggi meno ostili.
Fa sorridere molti cittadini che proprio la politica, nota per tutt’altro linguaggio, voglia dare la lezioncina e farsi promotrice di buone maniere.
Eclatante il caso di un comune (che non nomineremo per decenza) dove la sfida, purtroppo, fu persa ancora prima dell’insediamento: durante la prima riunione di giunta, due assessori litigarono di brutto per chi avesse diritto al posteggio più vicino all’ingresso del comune. “La gentilezza è un cammino lungo”, spiegarono.
D’altra parte, l’Italia è il Paese dove la convivenza civile è spesso un’arte che si pratica meglio a parole che in coda alla posta.
La felicità come atto politico: l’ambizione più fragile
Ancora più affascinante è l’assessorato alla felicità, introdotto in alcuni comuni con l’idea che la politica potesse – incredibile da credere – migliorare l’umore collettivo. Obiettivo nobile, certo, ma anche rischioso, perché la felicità non ama essere misurata né rendicontata. E poi: come calare tutto ciò nel contesto sociale dall’alto delle stanze dei bottoni?
Il tasso di soddisfazione dei cittadini non dipende solo da una panchina in più nel parco o dall’istituzione di festival motivazionali, ma anche da cose molto più terrene…
Un fenomeno culturale, più che amministrativo
Al di là della loro utilità concreta, di cui dubitiamo fortemente, gli assessorati creativi fotografano una verità tutta italiana: amiamo istituzionalizzare anche i nostri ideali, anche quando sappiamo che saranno complessi da realizzare. È un autoconvincimento per dire che non abbiamo rinunciato all’idea che la politica possa – almeno talvolta – parlare il linguaggio della vita interiore, non solo quello delle delibere, e che torni a essere vera polis.
Assessorati che forse non cambieranno il mondo, né i bilanci, né le strade, né la sanità che non funziona, ma cambiano (forse) il tono, la narrativa e l’immaginario, oltre ai bilanci per buste paga che molti non comprendono. A distanza di anni dall’esperimento a Salemi di Vittorio Sgarbi, che oggi possiamo considerare un “case study” perfetto di come la politica, in Italia, non sia solo gestione del potere ma anche – e spesso soprattutto – narrazione, rito, spettacolo e identità locale, cosa rimane?
In Italia la politica è teatro
Di assessori alla felicità e alla gentilezza ormai se ne contano a centinaia, da nord a sud d’Italia, con risultati solo simbolici ovviamente, perché gli ideali sono tali. Quindi, prima di parlare del caso della Toscana – prima in Italia ad elevare le deleghe del nulla creativo al rango regionale – vale osservare che se c’è uno Stato al mondo in cui l’amministratore locale deve saper gestire le asfaltature, il santo patrono, i gruppi social locali, le faide generazionali, la sicurezza e l’immaginario collettivo, quello è l’Italia!
Ovvio quindi che gli assessorati creativi nascano proprio qui: dove la politica non è mai soltanto amministrazione, ma un teatro civico che richiede scenografie, simboli e colpi di scena. Sgarbi, che del teatro ha sempre avuto lo spirito, lo capì meglio di tutti, e con un anticipo di almeno dieci anni! Il buon Eugenio “genio” Giani ai tempi aveva ancora i capelli neri, ma già prometteva un nuovo aeroporto per Firenze.
Creare questi assessorati – quelli che il noto critico definiva meta-assessorati – serve a rappresentare un’amministrazione che non opera soltanto, ma significa.
Portando il concetto terra terra: un assessore “tradizionale” si occupa di fare le strade, operare nella scuola e nella sanità, etc., mentre un meta-assessore è un simbolo, e i simboli, in sociologia della comunicazione, sono potentissimi: costruiscono aspettative, generano identità, attirano attenzione.
I meta-assessorati, in poche parole, funzionano come gli slogan turistici: trasformano un luogo in un discorso. Salemi, infatti, prima del 2008 era nota principalmente a chi abitava entro 70 chilometri; dopo la nomina di Toscani, Morgan etc. finì sui quotidiani nazionali. È l’applicazione pratica della teoria del sociologo francese Guy Debord sulla “società dello spettacolo”: ciò che esiste mediaticamente esiste davvero.
Il meta-assessore non costruisce strade ma costruisce attenzione.
Esiste un motivo più profondo (semi-serio, ma non troppo): gli italiani hanno da sempre la capacità di riconoscere la contraddizione della politica e spesso rispondono con ironia. Se la burocrazia è impossibile, la finanza locale risicata e i poteri limitati, allora tanto vale giocare con le deleghe. È un modo per ammettere: “non possiamo cambiare tutto, ma possiamo cambiare la narrativa.” La nascita di assessorati al nulla, al gusto, alla felicità o alla bellezza risponde precisamente a questo bisogno: dare un nome poetico a ciò che la politica non riesce a fare.
In sociologia questo si chiama politica estetica: governare (o almeno comunicare di governare) attraverso la forma.
Il lato paradossale: assessori che esistono proprio perché non devono fare nulla
Il meta-assessore ha quindi una caratteristica molto italiana: esiste perché non deve produrre atti amministrativi. E qui nasce la parte semi-seria: non può sbagliare un bilancio, non può violare norme urbanistiche, non deve presiedere commissioni, non firma delibere, non pesa sui capitoli di spesa. È una figura ideale, un assessore platonico e, in un Paese esasperato dall’invadenza delle norme e dalla burocrazia, un ruolo totalmente simbolico è quasi un sollievo: non nuoce.
È per questo che l’esperimento di Salemi, fino alla nuova giunta della Regione Toscana, pur discusso, non era mai stato replicato davvero allo stesso livello: perché nessun altro sindaco o presidente aveva osato dichiarare apertamente che un assessore potesse essere un’idea più che una persona.
Foto: Copyright Fotocronache Germogli

