Sembrava l’epilogo di una storia già abbastanza paradossale. Ma a quanto pare, la “riqualificazione” della tettoia esterna del mercato di Sant’Ambrogio continua a regalare nuovi, grotteschi sviluppi. Dopo la spesa finora sostenuta di 1,9 milioni di euro per un enorme involucro in travoni industriali d’acciaio che nasconde definitivamente dalla strada il corpo di fabbrica del mercato storico, ora spuntano anche i teli parasole per ripararsi dall’effetto serra che la tettoia provoca già ai primi caldi di giugno – pezza improvvisata, ma d’obbligo, per tentare di rimediare al disastro termico creato dalla copertura in policarbonato alveolare (un materiale trasparente economico a camera d’aria) della nuova struttura che dà su Largo Annigoni.
«Un vero troiaio, non mi faccia parlare» sbotta un commerciante, indicandoci la sezione della tettoia dove sono stati installati pannelli in materiale trasparente per far filtrare la luce. «Questo non è vetro, è roba di plastica da pochi euro al metro quadro… ma come si fa?» si sfoga.
Se non trattati adeguatamente, materiali come il plexiglass o il policarbonato trattengono il calore e offrono poca resistenza ai raggi UV, amplificando sensibilmente l’effetto serra sotto la copertura. In una Firenze diversa, dove a guidare gli interventi pubblici fossero competenza e progettazione consapevole, una soluzione efficace poteva essere l’installazione di frangisole a lamelle, elementi inclinati – fissi o orientabili in base alla stagione o all’orario – capaci di bloccare i raggi diretti del sole nelle ore più calde e incamerare la luce nei giorni bui, riducendo l’effetto serra sotto la copertura e garantendo una luminosità più equilibrata in ogni momento della giornata e durante tutto l’anno. Un altro sistema poteva essere un lucernario longitudinale, così come proposto dai commercianti:
«Noi avevamo proposto un lucernario stretto, lungo tutta la tettoia, che portasse luce, ma non troppa, su tutto il mercato. Ma pare che avessero sbagliato i calcoli. Quindi ora da una parte è buio, dall’altra ci si muore di caldo. Se vendi vestiti, i colori sbiadiscono; se hai alimentari, ti si cuoce tutto sotto al sole».
I commercianti non hanno avuto altra scelta se non di stendere teli a coprire il soffitto, e persino qualche ombrellone per salvare almeno parte della merce e rendere più tollerabile la permanenza sotto quella copertura. Ma i venditori si lamentano anche per l’illuminazione disastrosa della tettoia: se in estate i venditori nella parte su Largo Annigoni devono mettere teli per coprire dal sole bollente, nelle giornate invernali la parte in ombra verso Via del Verrocchio è talmente buia che le luci devono rimanere accese tutto il giorno.
Avevamo già raccontato, lo scorso 2 marzo, di questa ennesima “riqualificazione” urbana finita male, con una tettoia brutta, massiccia e totalmente fuori contesto, degna più di un parcheggio dell’Osmannoro che del centro storico di una città patrimonio UNESCO. L’intervento nasceva con intenti ambiziosi, ma si è trasformato in un pasticcio a guida dell’ufficio tecnico comunale, condotto senza un concorso pubblico e soprattutto senza una visione capace di tenere insieme funzionalità, estetica e rispetto per il contesto.
Sui social, nel frattempo, è un fiume di sarcasmo: «Come le pensiline per le fermate dei bus, dove ci si cuoce: a quanto pare vogliono fare così anche con gli ambulanti!! Cotti a puntino», scrive un utente; un altro commenta amaro: «Ma ci rendiamo conto che ormai da 10/15 anni in questa città non ne azzeccano una?». C’è chi paragona i teli usati ai teloni da vivaio, chi ironizza suggerendo di installare condizionatori a soffitto, e chi evoca le tende da campo dell’Esercito. Il tono generale è sempre lo stesso: sconcerto per l’ennesima occasione persa, rabbia per una città che continua a spendere soldi pubblici in opere prive di qualità e lungimiranza.
Il caso Sant’Ambrogio non è un’eccezione, ma la regola in una Firenze che, da decenni, appare incapace di produrre architettura pubblica all’altezza della sua storia e della sua bellezza. In altre città europee – Barcellona, Monaco, Parigi – i mercati storici sono stati restaurati e reinventati con intelligenza, affidandosi a grandi architetti e facendo dialogare tradizione e innovazione. A Firenze, invece, si procede a colpi di interventi mal fatti e privi di visione. La parola d’ordine è sempre il compromesso al ribasso, ma con costi che, inspiegabilmente, schizzano sempre alle stelle. Dai 750mila euro iniziali del 2021, la spesa è salita agli attuali 1,9 milioni di euro.
Con questa cifra si sarebbe potuto fare ben altro. Magari affidando il progetto ad un team con una vera visione, capace di combinare tecnologia, bellezza e sostenibilità. Magari coinvolgendo professionisti di talento, esperti di mercati storici. Il risultato di questa ormai cronica politica dell’approssimazione e dell’incompetenza è una città che lentamente perde pezzi di sé. Non solo in senso estetico, ma anche in termini di identità, vivibilità, qualità dello spazio urbano. Perché la bellezza è anche funzionalità. È questo che manca in opere come la tettoia di Sant’Ambrogio: la sensazione che dietro ci sia stata una riflessione autentica sul luogo, su chi lo vive, su cosa rappresenta per la comunità.
Invece, ancora una volta, si è scelto il percorso più raffazzonato. E il più costoso. E forse, a questo punto, non è più solo questione di architettura. Ma di competenza, di trasparenza, ma soprattutto di rispetto per chi la città la vive ogni giorno. Anche sotto il sole cocente di giugno, a vendere dietro un banco, con i teloni sulla testa e la pazienza agli sgoccioli.