La pittura come redenzione alla Galleria La Fonderia
C’è un punto in cui la pittura smette di essere rappresentazione e torna ad essere carne, reliquia, sostanza viva del pensiero. È lì che abita Giuseppe Barilaro, e la mostra “Animae Salvae” presso la Galleria d’Arte La Fonderia a Firenze ( 4 ottobre – 22 novembre ) lo dimostra con rara coerenza poetica.
Curata da Niccolò Mannini con il contributo di Elisa Perissinotti, l’esposizione raccoglie opere che attraversano diversi momenti della sua ricerca, rivelando un linguaggio pittorico ormai maturo, intriso di una spiritualità laica e perturbante.
Barilaro dipinge con la materia come con un rosario: ogni colata di resina, ogni bruciatura del legno, ogni coagulo di colore sembra una preghiera detta con i denti serrati. La superficie diventa campo di battaglia tra la luce e la materia, tra il divino e il corporeo, in una tensione che ricorda le visioni estatiche di El Greco, la brutalità caravaggesca, ma anche l’urgenza gestuale dell’Informale europeo.
Non c’è composizione che non nasca da una ferita, non c’è figura che non porti i segni di un esorcismo pittorico. Quelle figure acefale, spogliate di identità, sembrano icone desacralizzate che hanno perduto il loro altare ma conservano il mistero del rito.
L’artista come un novello Francis Bacon mediterraneo affronta la pittura come atto di salvezza. Il gesto pittorico, denso, quasi scultoreo, si fa liturgia del dubbio. E in questo dialogo incessante tra caos e controllo, tra empito e rigore, Barilaro restituisce alla pittura quella funzione catartica che l’arte ha spesso smarrito.
Il suo rosso distintivo, ottenuto da miscele di colle e pigmenti, non è un espediente cromatico: è sangue rappreso, memoria del sacrificio, cifra identitaria di un linguaggio che non teme la verità della materia.
“Animae Salvae” titolo che echeggia l’album di De André e Fossati, che si trasfigura in visione non è dunque una mostra, ma una via crucis laica. Ogni opera è una stazione di un percorso interiore: dalla colpa alla consapevolezza, dalla carne allo spirito.
L’artista non cerca risposte né dogmi; interroga, piuttosto, la possibilità stessa della salvezza nell’arte, come se la pittura potesse ancora offrire una redenzione possibile, un varco verso l’assoluto.
In un tempo in cui l’immagine tende a dissolversi nell’evanescenza digitale, egli riafferma con forza la resistenza della pittura. La sua opera, viscerale e colta, custodisce la memoria del sacro e la trasforma in gesto contemporaneo.
È una pittura che non illustra, ma evoca. Che non consola, ma inquieta.
E proprio in questo perturbamento risiede, forse, la sua più autentica promessa di salvezza.
Fonte: Instagram Post