Strumento di lotta o sciopero permanente o ? Il confine sottile tracciato dalla mobilitazione CGIL, con i cittadini ostaggio dei disservizi
Di Vincenzo Donvito Maxia (presidente ADUC)
Ma oggi c’è sciopero generale? Aspetta che vado a guardare… ah, sì, è contro la manovra di bilancio ma sembra per la pace nel mondo. Oppure no? Pensavo lo sciopero fosse l’altro ieri, che sono andato in stazione ad accompagnare la figliola che prendeva un treno per Milano (2 ore di percorrenza) e c’era un ritardo di 1 ora… lei contenta “babbo, speriamo che non recuperi durante il percorso, ché mi rimborsano il 25% per 30 minuti di ritardo, che diventa 50% per 60 minuti”… il mio sguardo di commiserazione credo non l’abbia colto. O forse c’era anche ieri lo sciopero, ché dopo un’ora al radio taxi… ho chiamato chi mi aspettava chiedendo di avere pazienza. Anche se non ho capito, per esempio per i trasporti pubblici, se c’é sempre un qualche sciopero, ché la strada in cui ho l’ufficio, da un po’ di tempo è un tappeto di vetture strombazzanti che scaricano gas, tant’è che i colletti delle mie camicie diventano neri più velocemente (non ho ancora fatto una radiografia ai polmoni).
Comunque, anche stamane al baretto con sporto sul tappeto di auto, gli avventori erano più numerosi e quasi tutti, a parte i residenti di zona, erano giunti con un qualche mezzo privato (“ché il tram è lontano e i bus non passano mai… e poi lo sciopero”) e il saluto medio era del tipo “oh, ci si vede più tardi al prossimo caffè, anche se non so se ce la faccio, ché poi alla fine devo anche tornare a casa, e non ho capito…”.
Credo di essere una persona mediamente informata, talvolta vicino all’overdose, eppure non smetto mai di stupirmi in questi contesti. Sarà una sorta di istinto di sopravvivenza… quello che, nel percorso dall’ufficio al baretto e quando la mattina arrivo in bici in ufficio (abbastanza sui marciapiedi, ché piste ciclabili non ci sono e se dovessi seguire sensi unici e percorsi ordinari, ci metterei almeno 30 minuti in più, oltre al rischio “arrotamento” e sportelli aperti all’improvviso da auto parcheggiate),… quando la mattina arrivo in bici fiancheggiando il tappeto di auto, questo istinto di sopravvivenza mi fa pensare “ma io che ci faccio qui?” mentre il pensiero va alla scelta della “famiglia del bosco” e ad andare a passo d’uomo per non essere giustamente mandato al diavolo dai rari pedoni.
Torniamo allo sciopero. C’è il collegamento streaming della Cgil in diretta da una piazza di Firenze, dove ci sono anche alcuni giornalisti de La Repubblica preoccupati ché stanno per essere venduti ad un qualche nuovo editore che sembra non essere di loro gradimento, e ovviamente quelli delle filiere della moda. Collegamento a Bologna e poi Torino (“la capitale della cassa integrazione”), stesse storie. E poi Palermo (antimafia qui, antimafia là). “Free Palestina” ovunque che fa eco ad un classico “Meloni boia” e “no alla leva militare obbligatoria” (chissà dove l’hanno letto). Assente l’Ucraina. La contemporanea ricorrenza con la strage di piazza Fontana del 1969 è occasione anche per un classico “fascisti tornate nelle fogne”.
Insomma, loro scioperano essenzialmente per il lavoro e le eterne vertenze, per le quali è difficile dargli torto. E noi, con gli altri, subendo i disagi tipici degli scioperi, convinti – non ce ne voglia nessuno – che forse sarebbe meglio se la prendessero direttamente coi propri referenti, senza costringere anche noi, pur non essendo in piazza, a “scioperare” con loro.
E’ la società del disagio come consuetudine.
Vincenzo Donvito Maxia è presidente Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori)
Foto: Copyrighgt Fotocronache Germogli
