Il Gattopardo di sinistra: “Reddito di cittadinanza tra neoliberismo e utopia sociale; il paradosso della sinistra italiana”

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Di Michele Sanfilippo

La vera crisi istituzionale dell’Italia è, indubbiamente, il Gattopardismo, visione scettica del trasformismo del «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», emblematica  frase del nipote del principe di Salina, Tancredi Falconeri. Sotto un profilo più intimo è la visione disincantata di Jep Gambardella de “La grande bellezza”, dove il realismo confluisce nel disincanto.

Mi vengono alla mente gli avvertimenti di Edgar Morin e Sami Naïr, riflettendo sulla crisi della politica contemporanea (soprattutto della sinistra), hanno sostenuto che essa abbia progressivamente smarrito la propria visione umanistica e civilizzatrice, riducendosi a una funzione meramente gestionale ed amministrativa. Morin parla di politica di civilizzazione per indicare una politica capace di affrontare insieme i problemi materiali (economici, sociali, ecologici) e quelli culturali, etici e spirituali dell’umanità. Non basta gestire bene le risorse o i meccanismi dello Stato: serve un progetto che orienti la società verso la dignità, la solidarietà, la qualità della vita, la salvaguardia del pianeta e la convivenza democratica. Sami Naïr, in modo simile, ha denunciato come la sinistra tradizionale europea si sia limitata ad amministrare la globalizzazione e il neoliberismo, smettendo di proporre una visione emancipatrice e umanitaria. Ha perso cioè la capacità di “narrare” un futuro desiderabile, accontentandosi di gestire l’esistente.

Con la “morte delle ideologie” degli anni ’90, abbiamo, come direbbe il politologo fiorentino Giovanni Sartori, seppellito anche le idee.

Giorgio La Pira, soleva dire, come riportato dall’incommensurabile Pino Arpioni e confermato dall’amico Gianni Conti, che “in Politica ci vuole fantasia, ma la fantasia nasce dalla cultura”; il binomio fondamentale che pare peccare nella classe dirigente attuale, prigioniera dell’attualità – nuova sindrome che si connette alla “sondaggite” ed alla contemporaneità deo mercati finanziari.

In un siffatto contesto, il disincanto di Jep Gambardella, si trasforma in sconforto che genera opportunismo e l’opportunismo genera il trasformismo.

Cosa ci insegnano, seguendo Morin e Naïr, invece, gli Umanesimi, sia quello cristiano che quello socialista? Per fare politica (quella dimensione culturale e fantasiosa) è necessaria una visione antropologica che gli opposti umanesimi, sia cristiano che marxista e socialista, avevano.

Oggi nel regno del post (postmoderno, postdemocrazia, postindustriale), sembriamo smarriti e la sinistra, specie nei feudi come quello toscano, sembra rifugiarsi in una mera gestione del potere, il potere del Gattopardo.

Vengo quindi alla questione del reddito di cittadinanza quale elemento di coagulo della coalizione sedicente di sinistra.

Questa situazione la chiamerei “i Paradossi di Giani”, dove un giovane liberale (se la memoria non mi inganna faceva parte del gruppo di Gioventù liberale), poi socialista e poi legatissimo a Matteo Renzi, ma rimanendo nel Partito Democratico, si trova a gestire l’inconciliabile, fra modelli neoliberisti del P.D. (basta sentire Boccia che riecheggia costantemente la “Public Choice” e la Scuola di Chicago e la presenza del figlio d’arte Colaninno), sinistre tradizionali e ambientalistiche (in Toscana abbastanza settarie, alla Anna Marson dell’ideologico “basta al consumo di suolo”, opposto alla gestione del suolo, che è il cuore dell’urbanistica), cattolicesimi vari (da Pax Christi al lapirismo) ed ora i pentastellati (ultimo rifugio dell’opportunismo dopo la vittoria della corrente di Alfonso Bonafede sulla spumeggiante avanguardia livornese).

Questa coalizione è di sinistra o di destra (quasi) estrema? Direi che la sintesi sia “Poltrona non olet”, traduzione maccheronica dell’andreottiano “Il potere logora chi non ce l’ha”, che in realtà fu di Charles-Maurice de Talleyrand, per intendersi quello che rispose al Re di Francia Luigi XVIII: “per vincere le guerre servono tre cose: i soldi, i soldi, i soldi”.

Veniamo al punto: il Reddito di cittadinanza. Sembrerà paradossale, ma il Reddito di cittadinanza trova la propria origine culturale nella Scuola di Chicago ed in specifico in Milton Friedman, il quale, negli anni ’60 teorizza la Negative Income Tax, un reddito minimo garantito integrato al fisco con la cosiddetta Tassazione negativa, in base alla quale, una persona aveva un reddito garantito e con i propri guadagni, ripagava sulla base della tassazione, parzialmente il proprio contributo.

Detto modello fu oggetto di sperimentazione a livello locale: Newark (New Jersey: 1961-1962), Pennsylvania (Pittsburgh e altre città: 1968-1972), Indiana (Gary e altre località: 1968-1972), Iowa (Rural e Cedar Rapids 1969-1971), Seattle–Denver (Project Seattle–Denver: 1970-1972). Tutte amministrazioni Repubblicane, eccetto sporadiche situazioni miste (Pittsburgh a livello locale democratici, ma statale Repubblicani), Seattle–Denver (governato dai democratici, ma il progetto interamente supportato quale sperimentazione dall’amministrazione Nixon). In sintesi il precursore del reddito di cittadinanza è senza alcun dubbio facente parte del bagaglio della destra statunitense e del pensiero economico neoliberista.

Il sociologo Domenico De Masi, nel suo “Ozio creativo”, dell’inizio del secolo, sintetizza il proprio lavoro, iniziato negli anni ’90 del secolo scorso, confrontando il concetto di lavoro negli antichi (l’ozio del lavoro intellettuale, che non era considerato lavoro, perché privo del contraccambio economico) e proponendo un reddito garantito per consentire, in un mondo post-industriale caratterizzata dalla profezia di Ulrich Beck sulla “Morte del Lavoro” nel suo libro “Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro” di ridurre povertà, aumentare libertà di scelta e affrontare automazione e riduzione dell’orario di lavoro. Il suo modello, in realtà differisce rispetto al Reddito di cittadinanza pentastellato, perché sarebbe un reddito di base generalizzato e non sottoposto alla presenza di determinate condizioni.

L’applicazione in Europa di un siffatto modello si avrà in Finlandia con la coalizione di centro-destra di Juha Sipilä, nel biennio 2017-18, poi abbandonato dal subentrante socialdemocratico.

Mi aspetto in questa riconversione della sinistra italiana al neoliberismo più duro, che si riparli del collegato Reddito Minimo (dei 9 dollari l’ora- prima del 2023- del modello Walmart, proposto dalla Elly Schlein in 9 Euro orari, dimostrando di non essersi aggiornata, perché la stessa Walmart, applicando le gabbie salariali ha portato a 14-12 $ orari), altra invenzione di Milton Friedman e della sua Scuola.

A prescindere dal fatto che dette sperimentazioni abbiano funzionato, perché hanno portato un migliore benessere di tipo psicologico, ma hanno avuto scarse ricadute in termini occupazionali, è da evidenziare come questa visione sia del tutto lontana dal modello costituzionale che vede il lavoro come strumento di crescita umana e che tale lavoro debba essere commisurato all’impegno, ma anche in grado di garantire il sostegno per la persona e la sua famiglia.

Il boccone che il Movimento 5 Stelle ha fatto inghiottire al “Paradosso Giani” è di quelli estremamente velenosi, non solo per le ricadute in termini di bilancio, che non sono in grado di quantificare, ma più che altro per creare juna distanza ideologica nella coalizione, che al massimo può continuare a gestire, secondo lo schema al potere per il potere.

L’insegnamento che ci proviene dalle sperimentazioni è che per creare lavoro si devono utilizzare strumenti diversi. Io vedrei, ad esempio, una applicazione seria, sul modello tedesco, del lavoro interinale, dove il lavoratore è pagato per fare i corsi nei centri di interinale, assunto dagli stessi, i quali hanno tutto l’interesse a trasformare un costo (lo stipendio mensile) in un guadagno (l’ingaggio da parte dell’azienda). Un siffatto modello costituisce un percorso di capacità e duttilità del e nel lavoratore stesso. Questo è sicuramente conforme al disegno costituzionale. Non voglio approfondire il tema per evitare giudizi sul modello italiano.

Vorrei vedere la creazione, se non di gabbie salariali, di strumenti di incentivo relativo ad aree depresse, tali da rigenerare comunità ed economie reali e con esse ridisegnare un mercato immobiliare che superi i modelli compassionevoli (o finto compassionevoli) della ingiusta edilizia popolare (con il privilegio a favore di soggetti cittadini di stati per i quali non vige il principio di reciprocità). Vorrei politiche che sopprimessero la Naspi per quelle categorie di facile impiego (vedi badanti). Vorrei controlli nei cantieri, perché è inaccettabile vedere cantieri pubblici con “nonni” (sicuramente ultra sessantenni) fare lavori usuranti sotto il caldo afoso o le intemperie. Vorrei che l’immigrazione non fosse una forma di schiavismo e concorrenza verso il basso, ma fossero costruiti percorsi di dignità umana, dove, però l’approccio sia non indiscriminato, ma sottoposto a rigidi percorsi, per altro volti alla qualificazione per il nostro paese, ma anche per quello di provenienza.

Politiche siffatte, in realtà, sono di marca socialdemocratica e democristiana, e male si conciliano con i modelli neoliberisti: in sintesi vorrei vedere più Samuelson e Keynes e meno Friedman, Pinilla Boys, Scuola di Chicago e Public Choice, in una compagine che si autoproclama di sinistra.