La democrazia nell’era dell’analfabetismo del potere

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di Antonella Gramigna

Siamo ancora una democrazia? Certo, sulla carta. Abbiamo le elezioni, i partiti, i talk show, le opinioni libere — o così sembra. Ma se la democrazia è il governo del popolo attraverso la consapevolezza, la libertà di scelta e la competenza nella rappresentanza, allora il cuore di questo sistema è in fibrillazione. Forse in silenziosa agonia.

Non è più il tempo dei golpe, ma dei sussurri manipolati, della distorsione lenta e continua che agisce sotto pelle. Oggi il vero colpo di Stato si chiama disinformazione. È elegante, mimetico, algoritmico. Non ha bisogno di spargere sangue: gli basta spargere ignoranza.

In questo nuovo teatro, la politica è diventata uno spettacolo interattivo, dove non conta più capire, ma reagire. Dove chi urla più forte ha ragione, chi semplifica conquista, chi confonde vince. La scelta politica non è più libera: è condizionata, suggerita, orchestrata da una nube tossica di fake news, manipolazioni, approssimazioni, mezze verità e silenzi chirurgici.

Ma se i cittadini non sono più in grado di distinguere il vero dal plausibile, il competente dall’istrione, il bene comune dall’ego personale, che democrazia è? Se la verità diventa un’opinione e la cultura un optional, la libertà non è più tale. È solo un’illusione decorativa, come il voto di chi crede di scegliere, ma in realtà ha solo tra le mani una lista di slogan e pupazzi.

Il punto più grave, però, non è nemmeno la disinformazione. È la qualità della classe dirigente che essa partorisce. La cultura politica è collassata: oggi essere ignoranti non è un limite, è un pregio. L’incompetenza è diventata “autenticità”, l’approssimazione è “parlare il linguaggio della gente”. L’élite è screditata non perché sia corrotta (e spesso lo è), ma perché è troppo pensante, troppo colta, troppo lenta per il ritmo social della rabbia.

E così ci ritroviamo con parlamentari incapaci di leggere un bilancio, ministri che confondono Galileo con Darwin, leader che citano filosofi mai letti, e portavoce che usano la grammatica come un’opinione personale. A guidare paesi complessi ci sono persone che non riuscirebbero a sostenere un esame di diritto costituzionale o a decifrare una delibera comunale. Non sanno governare, eppure governano. Non capiscono, eppure decidono. Non leggono, eppure legiferano.

Allora la domanda non è: sta morendo la democrazia?

La vera domanda è: è morta la politica o sono morti i politici?

O forse è morto l’elettore — inteso come cittadino pensante, critico, consapevole.

La democrazia non si spegne con una dittatura. Si svuota lentamente, per ignoranza collettiva, per stanchezza culturale, per delega cieca a chi non ha gli strumenti per governare.

E se un giorno ci accorgeremo di non essere più liberi, non sarà colpa di un tiranno. Sarà colpa nostra, che abbiamo confuso la libertà con il rumore, e la politica con l’intrattenimento.

Forse la democrazia è ancora viva. Ma respira sotto anestesia generale, mentre una classe dirigente culturalmente afasica e una cittadinanza anestetizzata ballano insieme il valzer della fine.

Silenziosa, ma irreversibile.

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