Fuori, in attesa di un ricorso dall’esito non scontato, per colpa dei cavilli e delle trappole di un sistema che, nei fatti, comprime la democrazia. Conta, in democrazia, chi detta le regole e i tempi del giuoco. Nel frattempo, Antonella Bundu meleggia il generale Vannacci dedicandogli una pizza tricolore. È un risultato da incorniciare, quello di Toscana Rossa, snobbata dall’aruspicina dei sondaggi e, perfino, dai mass media (si pensi a Sky che ha ristretto lo sguardo al desueto bipolarismo).
Ottiene il 7% nelle roccaforti “rosse” di Livorno e di Firenze, bene nella provincia di Firenze (nonostante la presenza di un competitor diretto come Alleanza Verdi e Sinistra), vicina al 3% anche in collegi meno “rossi” quali Grosseto – l’unica provincia dove ha vinto Tomasi – e Arezzo, alta (intorno al 5%) anche nella “bianca” Lucca. Cinque anni fa, per fare un paragone, la lista guidata da Tommaso Fattori, allora consigliere regionale uscente, prese 10 mila voti in meno di Toscana Rossa, che ne ha ottenuti 57 mila. Come candidata presidente Bundu ne prende addirittura 72 mila, segno di una preferenza per lei anche tra le fila del “campo largo”. Tra coloro che vorrebbero una sinistra che fa la sinistra.
Unica donna candidata presidente lei, tutte donne le candidate “preferite” nei collegi: l’attivista Sara Cassai a Firenze (1300), 1100 per l’avvocato penalista Francesca Trasatti a Lucca, la dottoranda in economia, attiva sui temi della casa e della Palestina, Caterina Manicardi a Pisa ne raccoglie 1000.
Un risultato, quello di Toscana Rossa, testimonianza nitida di un bisogno di sinistra reale in una società toscana che perde industrie, posti di lavoro, tra servizi in crollo verticale, spoliazioni, bollette al rialzo mentre la multiutility è una scatola vuota, svendita dei centri storici e città senza cittadini, americanizzazione con le armi e con i modelli culturali. Un’agenda sociale buca ancora perché intercetta un bisogno che c’è e che non ha altre risposte. Del resto, svuotare la Sinistra, l’unico scudo delle classi subalterne, ha richiesto uno sforzo immane, pluridecennale, con l’introduzione a sinistra del liberismo, con la rottamazione del pensiero marxista, con lo spostamento del focus sui diritti individuali. Certo, finché la sinistra sarà a guida Schlein – quanto di più lontano dalle classi subalterne –, Meloni può guardare al bis con relativa serenità. Meloni è forte perché è debole e gli States hanno bisogno che la penisola, il cuore geografico del Mediterraneo cioè del mondo, sia in “buone” mani. Se, invece, ci fosse la Sinistra, nulla sarebbe già scritto.
Solo facendo cose nuove e introducendo quante più tossine nel sistema si può sperare di costruire qualcosa di politico. Di antagonista. Se, alla fine, resterà fuori dal Consiglio, Toscana Rossa avrà comunque messo a nudo le storture di un sistema che, nei fatti, incentiva l’astensionismo; l’esclusione potrebbe essere foriera di ulteriori consensi. Se dovesse prevalere, come la logica sembra suggerire, il principio del favor voti, la Sinistra alternativa al Centrosinistra avrà voce, spazio, peso anche nel sistema, dovendone comunque accettare i meccanismi. Sembrerebbe un win-win.
Nel frattempo, Toscana Rossa ha prima costretto il PD, che per esempio a Firenze è in evidente emorragia di voti, ad un’alleanza organica – e costosa – con M5S e AVS, che, per arrestare la fuga di voti a sinistra, batteranno cassa, andando in conflitto con il secondo “partito”, la Casa Riformista alias Italia Viva, che a Firenze sta (ancora) all’opposizione. Mica male per una lista rimasta fuori (per ora).
In copertina: copyright Fotocronache Germogli