Legge sul fine vita, il Consiglio dei Ministri blocca la Toscana: Giani sulla difensiva

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Impugnata dal Governo la legge regionale toscana sul suicidio assistito. Il presidente Giani parla di “legge nel rispetto della Costituzione”, ma la mossa appare più politica che istituzionale. E intanto la Toscana rischia un nuovo stallo normativo

 

La sfida della Toscana sul fine vita è durata poco. Il Consiglio dei ministri ha deciso di impugnare la legge regionale voluta da PD, M5s e Italia Viva per regolamentare l’accesso al suicidio medicalmente assistito in ambito sanitario pubblico. La norma, approvata l’11 febbraio 2025 e pubblicata il 17 marzo sul Bollettino ufficiale regionale, si proponeva di dare attuazione alle sentenze della Corte Costituzionale n. 242 del 2019 e n. 135 del 2024. Il provvedimento toscano stabiliva che la valutazione della richiesta da parte del malato dovesse concludersi entro 54 giorni: era prevista l’istituzione di una commissione multidisciplinare, incaricata di esaminare i singoli casi con il supporto del parere di un comitato etico. In caso di esito positivo, l’Azienda sanitaria avrebbe dovuto procurarsi il farmaco necessario — e, se necessario, eventuali dispositivi medici di supporto —nei tempi indicati per porre fine alla vita del paziente nell’ambito della procedura di suicidio medicalmente assistito.

Ma ieri il Governo ha deciso di intervenire, ritenendo la legge in contrasto con le competenze regionali e con il quadro normativo nazionale che è ancora privo di una disciplina unitaria sul tema. Il Consiglio dei Ministri ha impugnato la legge regionale, ritenendo che la materia rientri nella competenza esclusiva dello Stato e che la Regione non abbia titolo per legiferare in questo ambito.

Per l’amministrazione toscana si tratta di una battuta d’arresto clamorosa, anche simbolica: per le forze di sinistra di maggioranza che l’avevano fortemente voluta, la legge ha da sempre rappresentato un vero e proprio manifesto politico sui “diritti”, oltre che un atto amministrativo. Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ha reagito parlando di “atto di responsabilità” da parte della Regione, e accusato il Governo di ostacolare una risposta concreta ai malati in condizioni di sofferenza estrema. Ma la sua difesa appare più orientata a rivendicare una posizione politica che a confrontarsi con le obiezioni di legittimità sollevate da Roma, glissando anche sulle critiche tecniche che fin dall’inizio hanno accompagnato la legge, a partire dal ricorso presentato dalle forze di opposizione al collegio di garanzia statuaria pochi giorni dopo l’approvazione..

Dopo l’iniziale via libera del Consiglio regionale della Toscana l’11 febbraio 2025, Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia, aveva condannato il provvedimento regionale definendolo «pericoloso e disumano». A suo giudizio, questa norma serviva a «legittimare una sorta di ‘morte di Stato’ per anziani, persone sole, fragili e malati che potrebbero sentirsi un peso per le proprie famiglie». Brandi aveva inoltre accusato la Regione di avere oltrepassato i limiti delle proprie attribuzioni, sostenendo che una decisione simile spettasse unicamente al Parlamento nazionale, ricordando come tentativi analoghi fossero già stati bocciati in altre Regioni, come Veneto, Lombardia e Piemonte. A suo avviso, ciò che serve non sono scorciatoie legislative regionali, ma un reale potenziamento delle cure palliative già previste dalla Legge 38 del 2010, con accompagnamento e sostegno alla persona, non l’eliminazione del problema tramite la morte medicalmente assistita.

Con questa impugnazione, il testo toscano rientra in un limbo legislativo che lo rende, almeno per ora, inapplicabile. E per la giunta Giani, che aveva scelto di fare del fine vita una bandiera politica di progresso e civiltà, si apre una fase difensiva complessa, non solo sul piano giuridico ma anche su quello dell’opinione pubblica.

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