Manuale di climatizzazione creativa per un inverno artificiale: Luci, pattini e CO₂ nella Firenze “green”

foto alessandro

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Piccola inchiesta sulle piste urbane che nascono dove il termometro non collabora: tra costi ambientali, refrigeranti tossici e le contraddizioni delle amministrazioni “green”

 

Con l’arrivo delle luci del Natale – ma in realtà sempre prima sul calendario, dato che molte aprono già a metà novembre e proseguono dritte fino alla fine di febbraio – anche nelle città non propriamente alpine, negli ultimi anni, è tutto uno spuntare di piste di pattinaggio su ghiaccio.

Non ci sarebbe niente da eccepire se si fosse a Canazei, Bolzano o Cortina d’Ampezzo, col ghiaccio naturale figlio di notti in cui il termometro d’inverno scende abbondantemente sotto lo zero. Ma alcuni dubbi ci sono venuti, dato che le stesse ormai da alcuni anni compaiono, artificiali, un po’ ovunque ci sia un piccolo spazio nelle nostre città: dai parcheggi dei centri commerciali alle aree urbane a verde di realtà dove, climaticamente parlando, difficilmente – anche negli inverni più freddi – le temperature scendono sotto gli zero gradi.

Piste, appunto, artificiali, calate in realtà climaticamente miti, dietro cui si nasconde un mondo di consumi energetici, sprechi d’acqua e tonnellate di CO₂ che pochi conoscono.

Stupisce soprattutto che l’amministrazione fiorentina, ad esempio, molto attenta teoricamente ai temi green, che annovera fra le sue file ben tre consiglieri ambientalisti – Arciprete, Graziani e Pizzolo di AVS Ecolòche giusto nei giorni scorsi esultavano a mezzo stampa per il via libera del governo al fotovoltaico anche in centro e nelle aree vincolate, certi che «la tutela del patrimonio storico e paesaggistico non può essere usata come alibi per bloccare la transizione ecologica», non abbia niente da ridire sullo scempio delle piste su ghiaccio presenti in città, dannose più di tutte le auto che potrebbero violare lo scudo verde in un anno intero.

Questa inchiesta analizza nel dettaglio costi ambientali, materiali tossici e contraddizioni politiche legate a queste piste urbane, sempre più diffuse anche dove il freddo non arriva mai.

Le inaugurazioni felici

Nelle cronache fiorentine del 1° dicembre si legge della grande festa alla presenza della sindaca Sara Funaro, dell’assessore allo Sviluppo economico e turismo Jacopo Vicini, della presidente di Confartigianato Imprese Firenze e presidente dell’Associazione Un fiore per la Fortezza, Serena Vavolo, della presidente del Consiglio regionale della Toscana Stefania Saccardi ed altre autorità, per l’accensione delle luci su “Florence Ice”, il nuovo villaggio di Natale che trasforma il giardino della Fortezza da Basso «in un luogo incantato dove la magia delle festività incontra il divertimento per tutta la famiglia».

Il cuore pulsante del villaggio, e orgoglio degli organizzatori, è la pista di pattinaggio su ghiaccio costruita intorno al lago della Fortezza (che sarà fruibile fino al 31 gennaio) e che, con i suoi 320 metri di lunghezza, si fregia di essere la pista su ghiaccio all’aperto più lunga d’Europa.

Festa grande e taglio simbolico del nastro sui pattini da parte dell’assessora allo Sport Letizia Perini, invece, il 15 novembre anche sul lungarno Aldo Moro, dove per il quarto anno consecutivo è tornata la pista su ghiaccio della società sportiva Giglio Bianco, operativa fino al 28 febbraio. Mentre, per uscire appena un po’ dalla città, è ritornata dal 16 novembre, nella piazza esterna alla Corte Tonda del centro commerciale I Gigli, anche la pista denominata “Gigli on Ice!”.

È inverno, le luci natalizie si accendono, i vinili con le canzoni delle feste diventano soundtrack quotidiana, le piazze delle città italiane diventano luccicanti, le piste di pattinaggio sul ghiaccio spuntano ovunque e noi, violando la tradizione che ci vuole tutti buoni a Natale, non riusciamo a esserlo… Vi siete mai chiesti quanto consuma una pista di pattinaggio artificiale in città? Quanta energia elettrica e quanta acqua servono per alimentarla?

Questa inchiesta, che squarcia il buonismo festaiolo, vuole aprire gli occhi a tutti gli amministratori beatamente esultanti e festanti nel tagliare nastri fra musichine e lucine, guidando dentro numeri sorprendenti e riflessioni sul futuro delle piste su ghiaccio cittadine.

Partiamo dall’energia: il conto è salato

Prendendo come riferimento una pista di pattinaggio su ghiaccio artificiale di circa 200 metri quadrati (le dimensioni di un appartamento grande di quattro locali) – una misura media per molte installazioni urbane – sappiate che richiede una quantità di energia elettrica sorprendentemente alta.

Secondo le stime di circoli ambientalisti che monitorano questi impianti, una simile pista consuma in media circa 18.000 kWh di energia elettrica in un mese durante il periodo attivo: qualcosa come 2–3 kWh per metro quadro al giorno. Se si considera che il consumo elettrico medio di una famiglia italiana è di circa 2.700–3.000 kWh/anno per utenza domestica (dato tipico del mercato italiano) e che il consumo di una pista artificiale su ghiaccio da 200 metri quadrati arriva a 168.000 kWh/anno, possiamo dire che la pista rappresenta l’equivalente del consumo di circa 56 famiglie italiane e quello di oltre 600 abitazioni, secondo Legambiente.

La refrigerazione, fondamentale per mantenere la superficie ghiacciata in città climaticamente miti, è il principale responsabile di questo enorme fabbisogno elettrico, insieme all’illuminazione e ai sistemi di climatizzazione e gestione degli impianti. È un po’ come tenere sempre la porta di un grande frigorifero spalancata.

A ciò si devono sommare, poi, spesso i generatori di emergenza e i sistemi di riscaldamento degli spogliatoi, che aggiungono ulteriori carichi e che frequentemente sono clamorosamente alimentati a gasolio.

Acqua: un bene troppo prezioso

Se per molti il ghiaccio è solo divertimento, per l’ambiente è il consumo reale di una risorsa preziosa. Le piste di ghiaccio artificiali in città richiedono una quantità enorme di acqua per la formazione e il mantenimento della superficie ghiacciata.

Considerando – nozione peraltro da scuola elementare – che non vivendo né a Rovaniemi, né a Mosca, né a Calgary l’acqua non ghiaccia da sola, e dato che a Firenze la temperatura non raggiunge quasi mai gli zero gradi, serve, oltre a molta energia, tantissima acqua.

In media, per ogni metro quadrato di pista si utilizzano fino a 50 litri di acqua al giorno. Tradotto: una pista di 200 metri quadrati può richiedere dai 10.000 ai 19.000 litri d’acqua solo per funzionare durante la stagione, una cifra che pesa enormemente per un bene pubblico così prezioso.

Emissioni che pesano

Serve tantissima energia, come detto, per raffreddare la quantità enorme di acqua sprecata per produrre e mantenere il ghiaccio. Ma, dulcis in fundo, da dove arriva quell’energia? In gran parte da fonti fossili. E i costi ambientali si vedono, eccome.

Secondo gli studi disponibili, una pista di ghiaccio artificiale di medie dimensioni può emettere nell’atmosfera oltre 5,5 tonnellate di CO₂ in un mese di attività. Sì, avete letto bene: oltre 5,5 tonnellate di CO₂ che, se considerate su un periodo medio di tre mesi invernali, arrivano al quantitativo mostruoso di 15 tonnellate di gas serra soltanto per una piccola pista cittadina.

Se prendiamo come riferimento le emissioni di CO₂ di un’auto media – circa 120–160 g di CO₂/km – in un anno con 12.000 km percorsi questa produce circa 1,44–1,92 tonnellate di CO₂. Ne consegue che una pista su ghiaccio produce in pochi mesi l’equivalente dell’inquinamento annuale di circa 34–45 automobili.

La tossicità dei refrigeranti

Come se tutto quanto sopra esposto non fosse sufficientemente grave per le nostre amministrazioni novelle “Alice nel Paese delle Meraviglie”, c’è da aggiungere anche il serio problema della refrigerazione, realizzata con prodotti che contengono clorofluorocarburi, anidride carbonica, ammoniaca e glicole etilenico: una serie di sostanze, in alcuni casi – specie l’ultima – altamente tossiche sia per l’ambiente che per l’uomo. Al punto che perfino il Comitato Olimpico Internazionale e la NHL, la più importante lega di hockey professionistico di Stati Uniti e Canada, stanno cercando soluzioni alternative per il loro sport.

I refrigeranti tradizionali, usati per assorbire calore e mantenere basse temperature – HFC, HCFC, ammoniaca, anidride carbonica – sono stati standard per anni, ma risultano altamente climalteranti (centinaia di volte più potenti della CO₂) e per questo oggi fortemente regolamentati o vietati in molte giurisdizioni.

Non fanno certo bene nemmeno i glicoli (soluzioni di glicole in acqua) e le salamoie refrigeranti comunemente usate come fluido secondario sotto il ghiaccio. In caso di perdite, possono contaminare suolo e acque superficiali; l’etilenglicole, in particolare, è noto per la sua tossicità acquatica e, se ingerito in grandi quantità, può causare danni renali e neurologici.

Un problema più grande dei numeri

Se i numeri sembrano già sorprendenti, il contesto lo è ancora di più. Negli ultimi anni, con l’aumento delle temperature medie, molte piste programmate non sono nemmeno riuscite a formarsi correttamente a causa del clima troppo mite, come accaduto a Macerata, dove la pista non è stata inaugurata perché il ghiaccio non si formava.

E mentre la crisi climatica accelera, la sensibilità ambientale della politica rimane spesso solo sulla carta, davanti al pullulare di piste cittadine su ghiaccio che diventano il simbolo di scelte politiche schizofreniche, dove alle belle parole non seguono mai i fatti. Ed è a questo punto che viene spontaneo chiedersi se non siamo finiti tutti dentro una versione moderna di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Alice – quella vera, quella del libro – guarderebbe la scena e probabilmente penserebbe di essere inciampata di nuovo nella tana del Bianconiglio: un mondo dove un lago urbano viene trasformato in ghiaccio con 18.000 kWh al mese, dove l’acqua scorre a fiumi per creare una patina natalizia effimera, dove la CO₂ si accumula nell’aria come coriandoli di Capodanno e dove persino refrigeranti tossici, contestati anche dal CIO, vengono accolti come ospiti d’onore.

Nel nostro Paese delle Meraviglie succede così che chi combatte ogni giorno contro le auto in centro, contro l’inquinamento e contro gli sprechi energetici, si ritrovi a pattinare sorridendo su un impianto che consuma quanto un quartiere intero. Si applaude, si brinda, si posa per la foto di rito. Il ghiaccio è bello, fa Natale, fa Instagram.

E mentre le lame dei pattini graffiano una superficie che costa decine di migliaia di kWh, noi cittadini ci ritroviamo a chiederci se la magia delle feste valga davvero un conto energetico che fa tremare i polsi più del freddo che quella pista deve continuamente combattere per esistere.

Così si chiude il nostro viaggio: non in una fiaba, ma in un paradosso. E’ vero, le città hanno bisogno del Natale, delle di scuse per uscire di casa e incontrarsi. Ma forse possono permettersi anche un piccolo aggiornamento di sistema: un Natale che non abbia bisogno di fingersi artico per essere comunque magico.