PD Toscana, l’ascesa dei “professionisti della narrazione”: il caso Dika–Diop

GERMOGLI PH: 1 FEBBRAIO 2024 SESTO FIORENTINO SCUOLA SUPERIORE IISS PIERO CALAMANDREI AUDITORIUM PROGETTO GIOVANI SICURI CORSI DI PRIMO SOCCORSO MASSAGGIO CARDIACO E DEFIBRILLATORE NELLA FOTO EUGENIO GIANI BERNARD DIKA

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I due giovani volti della sinistra diventano l’emblema di una selezione politica basata sulla narrazione identitaria più che sulla sostanza

 

Di Francesco Gorini 

Giani ha portato in Regione anche la versione femminile di Bernard Dika: Diop Mia Bintou. Curriculum simili. Secondo il CV pubblicato sul sito del Comune di Livorno, Diop ha frequentato un liceo ad indirizzo socio-pedagogico, una scuola con un carico di studio non certo pesante — anche se, in altri contesti, lei dichiara di aver frequentato il liceo classico. Chissà dove sta la verità. Entrambi, dunque, con molto tempo libero durante gli anni delle superiori da dedicare alle attività di rappresentanza studentesca e simili. È probabile che anche Diop, come Bernard, si sia fatta notare in quel contesto per la capacità di recitare con convinzione i mantra della sinistra. Bernard Dika dovrà affrontare una concorrenza interna di tutto rispetto. In certi ambienti, l’esperienza concreta conta poco, o addirittura nulla. Ciò che davvero importa è essere funzionali alla narrazione della sinistra: una narrazione in cui è essenziale dichiarare di provenire da una condizione di “disagio”, reale o presunto che sia va bene ugualmente. E se quel disagio ha anche un profilo “identitario”, tanto meglio. Diciamolo senza mezzi termini: oggi essere italiani con genitori naturalizzati garantisce un vantaggio d’immagine che un ragazzo o una ragazza italiani da generazioni non avranno mai — anche quando questi ultimi provengono da condizioni economiche o sociali ben più difficili.

Cari elettori del PD e della galassia della sinistra: probabilmente non vi è chiaro, ma se vivete situazioni di disagio sociale e non incarnate nessuno degli “appeal” che la sinistra woke ama esibire — colore della pelle, origini familiari, orientamento sessuale, appartenenza religiosa, e così via — al PD del vostro disagio non importa un fico secco. In quel sistema conta soltanto ciò che può essere trasformato in narrazione identitaria, non le difficoltà reali che affrontate ogni giorno. Ma soprattutto, per emergere come promessa politica nel PD, serve saper recitare con efficacia i mantra del partito.

Bernard li recita con maestria assoluta, e le sue 14.000 preferenze alle elezioni regionali lo dimostrano. Diop, però, potrebbe avere una marcia in più: quella capacità – spesso più spiccata nelle donne – di rendere una narrazione politica più tagliente, più persuasiva, più teatrale. Chi dei due saprà interpretare meglio i mantra su cui il PD fonda la propria identità? Il fatto che nessuno dei due, con il proprio curriculum, riuscirebbe a ottenere in un’azienda più di uno stage retribuito, resta del tutto irrilevante. Esperienza e competenza sono, come sempre, solo un optional. Il messaggio che passa è devastante: non importa scegliere un percorso scolastico impegnativo, affrontare prove dure, prepararsi a contribuire davvero al tessuto produttivo del Paese. Se frequenti una scuola “facilina”, che ti da tanto tempo libero, e lo usi per fare da megafono alle idee giuste nel contesto giusto, allora ti premiamo. E ti spianiamo la strada verso incarichi pubblici, ruoli dirigenziali, visibilità politica.

Questa logica premiale non è solo ingiusta: è pericolosa. Perché scoraggia il merito vero, quello che nasce dalla fatica, dalla competenza, dalla dedizione in ambiti dove l’Italia ha disperato bisogno di talenti. E al tempo stesso alimenta una classe dirigente che si forma non sulla base di ciò che sa fare, ma di ciò che sa dire – purché lo dica nel modo giusto, nel contesto giusto, con le parole giuste.

Serve un cambio di paradigma. Serve premiare chi costruisce, chi innova, chi affronta percorsi duri e li supera con merito. Non chi si muove in ambienti protetti e viene celebrato per aver fatto da grancassa alle idee del partito. Se vogliamo davvero educare i giovani al merito, alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, dobbiamo iniziare col dare il buon esempio. E smettere di premiare chi si limita a dire le cose giuste, nel modo giusto, davanti alle persone giuste.

Foto: Copyright Fotocronache Germogli