A Firenze, la Festa Internazionale dei Lavoratori coincide tradizionalmente con la chiusura della MIDA, che non è l’egiziano ex attaccante della Roma ma la Mostra Internazionale dell’Artigianato, che ha inizio il 25 aprile.
Nell’edizione di quest’anno hanno avuto una particolare preminenza i padiglioni di India, Vietnam, Egitto e Tunisia, pieni di quei colori e sapori che hanno sempre contraddistinto le storiche relazioni con questi Paesi. Molto professionali quelli della Cina, con una concentrazione singolare ma non casuale di artigiani provenienti da Hangzhou, città di origine della maggioranza dei cinesi della comunità di Prato; molteplici, anche nelle vicinanze dei padiglioni cinesi, le bancherelle tibetane. A rappresentare l’Europa è curiosamente stato soltanto l’est: Ungheria, Georgia e Lituania, con Kazakistan e Uzbekistan a fare da ponte geografico con l’ex Asia sovietica. Ha sorpreso chi scrive la vista di due padiglioni riservati al Pakistan, soprattutto dopo la vista del primo, lasciato vuoto, dato le attuali aspre tensioni con Nuova Delhi. Grande novità del 2025 è però la presenza di una rappresentanza palestinese, con due stand di cui uno, più politico e “militante” è stato letteralmente preso d’assalto da curiosi e clienti che hanno acquistato un gran numero di prodotti il cui ricavato, era specificato, sarebbe andato in Palestina. Qui si spaziava dalle calamite per frigoriferi alle collane e ai braccialetti, ma erano acquistabili anche bandiere nazionali e agende: quella in esposizione era aperta al 13 settembre, giorno della ratifica degli Accordi di Oslo, con una sintetica spiegazione del punto di vista palestinese al riguardo e di ciò che ha comportato per quel popolo.
In Africa, oltre ai summenzionati Marocco, Egitto e Tunisia, molto spazio hanno avuto i padiglioni senegalesi, dove oltre all’artigianato locale si vendevano anche vestiti, strumenti musicali e cosmetici naturali per la pelle. Presente anche il Madagascar.
La parte che un tempo si sarebbe detta “di qua dal muro” ha egemonizzato invece il piano superiore, riservato ai cibi locali. Qui Italia, Francia e Spagna hanno caratterizzato metà dell’area, quella visitabile appena salite le scale, non tuttavia senza India, Cina e Marocco più nell’interno. La zona della bigiotteria ha visto una preponderante presenza cinese ed emiratina, presenti ma pochi gli italiani e soprattutto i fiorentini, i cui prodotti si sono invece potuti apprezzati nei padiglioni dell’artigianato nazionale, visibili per primi all’ingresso.
Sebbene una volta la Mostra Internazionale dell’Artigianato godesse di molta più considerazione a livello nazionale, visitata com’era da presidenti della Repubblica e politici di alto rango (De Gasperi e Togliatti furono tra i primi), essa tuttavia mantiene quel respiro internazionale e quell’importanza che ci dà uno squarcio nitido della Firenze che vorremmo: produttiva, creativa, intraprendente, ma anche nazionale, globale, multipolare nel vero senso della parola, ovverosia capace di parlare con tutti ed essere ponte di dialogo, civiltà e scambio tra i popoli e le nazioni e di mettere questi rapporti a profitto di uno sviluppo maggiore, migliore e che benefici la cittadinanza e non i “soliti noti”: quanti di questi imprenditori possiamo legare più strettamente a noi, spingendoli a investire in vari settori e creando opportunità di lavoro per i fiorentini e di utili per loro (beninteso, non in maniera anarchica ma sotto un rigoroso controllo pubblico da parte di un’amministrazione seria e competente)? Questo porterebbe, chi scrive ne è convinto, alla rinascita di una Firenze realmente non chiusa, fanatica, oscurantista, ma risanata e attenta alle tendenze di sviluppo al di fuori delle sue mura e in grado di apportare il proprio contributo e recepire gli aspetti migliori, più avanzati e progrediti delle varie civiltà per tradurli nel proprio contesto e spingere gli altri a fare lo stesso con quanto di nostro possiamo apportare. Che è tanto.
In copertina: Copyright Fotocronache Germogli