Un appello alla Toscana che vuole rialzarsi. Dalla crisi industriale alla fuga dei giovani, dal lavoro alla sanità, dalla casa alla sicurezza, Tomasi propone una svolta netta e inclusiva per una regione che vuole tornare protagonista, senza assistenzialismo né ideologie
A due giorni dalle elezioni regionali in Toscana, Firenze si è trasformata oggi in un palcoscenico politico diffuso, con una vera e propria sfida a distanza tra le principali forze in campo.
In Piazza San Lorenzo, il centrodestra ha radunato i suoi sostenitori per l’evento di chiusura della campagna elettorale di Alessandro Tomasi, insieme ai sindaci toscani, Maurizio Lupi, Antonio Tajani, Matteo Salvini e alla premier Giorgia Meloni. A pochi passi, in Piazza Strozzi, è andato in scena l’incontro di Casa Riformista, la lista sostenuta da Italia Viva, con l’intervento di Matteo Renzi. Al teatro Niccolini, sempre nel cuore della città, i sindaci del Partito Democratico si sono riuniti per un appello finale al voto. Infine, in Piazza Indipendenza, si è svolta la manifestazione degli antagonisti e dei centri sociali, sorvegliata da un imponente schieramento di forze dell’ordine.
Una città divisa in tre piazze e un teatro, ogni luogo con la propria voce, a testimonianza di una campagna elettorale tesa e polarizzata. Di seguito, pubblichiamo il discorso integrale pronunciato oggi da Alessandro Tomasi, candidato del centrodestra, durante il comizio conclusivo in piazza San Lorenzo.
Il discorso integrale di Alessandro Tomasi dal palco di San Lorenzo:
Voglio ringraziare la mia famiglia.
Grazie alla mia famiglia, ai miei bambini, che non mi hanno visto per tanti giorni.
Grazie a tutti i candidati che ci hanno messo la faccia insieme a me. Anche loro sono mancati alle loro famiglie, sono mancati al lavoro, e hanno fatto una campagna elettorale in modo disinteressato, con il cuore, in tutta la Toscana, in mezzo alla gente.
Chi ha dato un volantino, chi ci ha creduto insieme a noi: grazie. Io lo porterò sempre nel cuore, lo porterò sempre con me, perché questa è stata un’avventura collettiva, un’avventura di tutti quanti noi.
Qualche volta tornavo in macchina a mezzanotte, all’una, e pensavo: “Com’è andata oggi? Ho incontrato abbastanza persone? Sono riuscito a spiegarmi?”
A volte ero stanco, ma quando pensavo che, sulle strade della Toscana, in quel momento, c’era qualcuno che — come me — stava tornando tardi, attaccando i manifesti, facendo una telefonata… io non mi sentivo solo. Mi sentivo insieme a voi.
Noi abbiamo camminato insieme in tutta la Toscana.
Nel 2017, quando mi sono candidato a sindaco, ci credevano in pochi. Mi fecero vedere dei sondaggi. E vi assicuro che anche l’ultimo dei sondaggi ci dava per perdenti.
Nel 2022, quando mi sono ricandidato, anche allora i sondaggi ci davano per sconfitti. Anzi, dissero qualcosa di ancora più grave. Dissero: “Voi siete un brutto raffreddore. Passerà.” Un raffreddore che, invece, è durato cinque anni.
“Basterà un’aspirina,” dicevano, “una pasticca… e passa tutto.” Invece abbiamo rivinto al primo turno. Abbiamo governato la città.
E come me hanno fatto tutti i sindaci saliti su questo palco: hanno vinto contro i pronostici, hanno governato, hanno rivinto, e hanno fatto l’interesse dei cittadini che li hanno votati.
Anche ora ci sono i sondaggi. Da mesi — anche oggi, in modo scorretto — vengono pubblicati sondaggi vecchi, che ci danno per perdenti.
E io non ci credo. Non credo a questi sondaggi. Perché vogliono scoraggiarci. Vogliono scoraggiare il nostro popolo, la nostra gente, dal votare.
Non ci credete.
Io, un sondaggio, l’ho fatto davvero. Non ha base scientifica, ma l’ho fatto tra la gente: stringendo mani ai mercati, parlando con gli imprenditori, con chi alza la serranda di una bottega, con i nostri infermieri aggrediti nei pronto soccorso, con gli autisti dei nostri autobus che non viaggiano in sicurezza, con gli studenti universitari. Li ho visti piangere, li ho visti soffrire, li ho visti sfogarsi… e li ho visti regalarmi entusiasmo.
E questo sondaggio, tirando le somme, dice una cosa chiara:
Noi siamo la maggioranza in Toscana.
Se riusciamo a trasformare questa rabbia, questa sfiducia, in speranza, e se portiamo le persone a votare in questi giorni, possiamo vincere la Toscana.
Possiamo scrivere la storia.
Possiamo mandare un messaggio al Governo, dicendo che anche noi, su questo territorio, mentre loro guidano il Paese tra mille difficoltà, abbiamo fatto il nostro dovere. Abbiamo dato il massimo. Anche nel territorio più difficile. Anche nella regione dove sembrava impossibile.
Allora, fidiamoci del sondaggio fatto tra la gente. Quello è l’unico che conta. Non quello delle telefonate a casa.
Ho iniziato la campagna elettorale prima ancora di essere nominato ufficialmente dai partiti del centrodestra. Ho girato tantissimo, perché ho creduto che la campagna non si fa nell’ultimo mese. Non è serio farsi vedere solo alla fine. Non dà credibilità. Non fa capire che vogliamo vincere.
Ho girato tutta la Toscana. Due volte. Ho incontrato tantissime persone. E man mano che si avvicinava il momento della partenza, mi chiedevo:“Che tipo di campagna vogliamo fare?” Io ho sempre detto che non voglio fare una campagna contro qualcuno. Non mi interessa quello che fanno gli altri.
Perché quello che hanno fatto — o non hanno fatto — lo vedete tutti. Lo vivete sulla vostra pelle. Lo vivono i vostri ragazzi. Lo vivono le vostre aziende.
Lo vivono tutti quelli che devono aspettare mesi per accedere alla sanità pubblica.
Però mi sono detto che non avrei accettato tre cose. La prima: Non sopporto che ci venga detto che non siamo in grado di governare la Regione Toscana.
O peggio: che siamo un pericolo. Non lo accetto. Perché ho troppo rispetto per la nostra storia, per i nostri sindaci, per gli uomini e le donne nei comitati, nei consigli comunali, anche nei più piccoli comuni. Quella è la nostra storia: è la storia della democrazia toscana.
Noi siamo una parte della democrazia di questa regione. Importante quanto lo sono gli altri. E nessuno può dire il contrario.
Queste elezioni regionali segnano uno spartiacque. Abbiamo già vinto: è uno spartiacque. Perché non potranno più usare la paura. Non potranno più dire che siamo incapaci. Non potranno più dire che non siamo un pezzo della democrazia. Dovranno lavorare anche loro. Non possono più vivere di rendita. Non basta più l’appartenenza politica.
La seconda cosa che non possiamo accettare è che questa elezione venga trasformata da loro in un laboratorio politico.
Perché è quello che stanno facendo: non gli interessa nulla dei toscani, delle nostre aziende, dei nostri ragazzi. Stanno usando la Toscana per mettere insieme partiti che non hanno nulla da dirsi, in vista delle elezioni del 2027.
A noi del 2027 non importa nulla. A noi importa l’oggi. Importa quello che succede ai toscani adesso. E noi non accettiamo che la Toscana venga trattata come un laboratorio politico sulla pelle della sua gente.
La terza cosa: c’era il rischio che si parlasse solo di temi vecchi, stanchi, e non di questioni concrete. E noi questo rischio lo abbiamo combattuto. Ho voluto parlare di denatalità, del rischio di perdere la nostra industria e la manifattura, del fatto che i nostri ragazzi se ne vanno via. Ho parlato di sanità, di ambiente. Di rifiuti ancora messi sotto terra.
Loro vogliono ammortizzare il dibattito politico. Perchè hanno finito le idee. Hanno finito la loro spinta storica. Hanno finito il loro entusiasmo. Perché non si crea entusiasmo stando insieme senza condividere nulla: né valori, né progetti, né futuro.
Hanno esaurito la loro spinta. Noi ce l’abbiamo adesso quella spinta, in questa campagna elettorale.
Più sono stato tra la gente, in questo mese e mezzo, più ho capito perché abbiamo accettato questa sfida che sembrava impossibile.
Questa battaglia supera lo schema destra-sinistra. Supera gli schemi ideologici. Perché c’è in gioco troppo. Non si tratta solo di alternanza, o di ricambio di classe dirigente. C’è di più. E vi invito a pensarla così. Perché se la pensiamo così, possiamo convincere anche chi oggi non è in questa piazza, ma — come noi — sente quanto è importante il voto e quello che ci aspetta.
Questa battaglia l’abbiamo fatta per gli operai del comparto tessile che sono in cassa integrazione, per gli operai della Beko, per gli operai delle piccole aziende che non stanno riscuotendo.
L’abbiamo fatta perchè io credo che la Regione non possa intervenire soltanto quando c’è una crisi aziendale, perchè quando c’è una crisi è già tardi.
Ma è necessario che la Regione ci pensi prima, che aiuti le imprese a crescere, a stabilizzarsi, che non sia un ostacolo a chi vuol lavorare.
Questa battaglia l’abbiamo fatta per le piccole e medie imprese, per gli imprenditori. Sono coraggiosi. Ogni giorno, si inventano qualcosa per restare sul mercato, per trattare bene i propri lavoratori, perché sanno che sono il bene più prezioso che hanno.
E quando parlavo con questi imprenditori, non mi parlavano di scontro sociale. Non mi parlavano della paura degli scioperi o degli operai.
Mi parlavano di come far stare bene le persone che lavorano con loro, di welfare, di come migliorare la loro azienda.
Questo è il nostro tessuto imprenditoriale sano. Non quello dello scontro sociale.
Questa battaglia la facciamo per i più deboli, per i poveri, perché loro se ne sono dimenticati. Noi, invece, vogliamo riportare nelle case popolari le persone che ne hanno davvero bisogno, quelle che hanno perso il lavoro, che vivono in difficoltà.
Vogliamo dare dignità, senza assistenzialismo.
Questa battaglia la facciamo per dare sicurezza alle persone, perchè la sicurezza riguarda soprattutto i più deboli, perchè sono i più deboli quelli messi in discussione quando manca la sicurezza. Io voglio riconquistare le piazze e i giardini con le famiglie.
Perchè non è giusto che chi ha aperto un bandone la mattina con tanta fatica, poi la sera si trovi una spaccata. Non è giusto che un uomo o una donna venga rapinato nel cuore dei centri storici. Chi pensa alla sicurezza pensa ai più deboli, pensa che la sicurezza sia il più alto valore per la libertà.
Questa battaglia voglio farla anche per l’ambiente. Anche questo se lo sono dimenticato.
Perché c’è un patto tra generazioni: quelli che non ci sono più, che ci hanno consegnato questa terra; quelli che ci sono ora, cioè noi; e quelli che devono ancora nascere, i più fragili, i più lontani. E noi abbiamo il dovere di conservarla, questa terra. Di difenderla. Di smetterla con le discariche, con i rifiuti sotterrati. Di fermare l’inquinamento dei fiumi e delle acque. Perché non è stato controllato, non si è investito.
Noi l’ambiente lo dobbiamo difendere per quelli che devono ancora nascere. E’ un dovere conservarlo.
E questa battaglia la faccio soprattutto per i nostri ragazzi, la cosa più importante. L’ho detto ovunque: l’anno scorso se ne sono andati via 4.000 giovani dalla Toscana. 2.700 di loro erano laureati. Sono andati via. Torneranno? Non lo so.
Perché se ne vanno? Perché non trovano opportunità di lavoro. Perché non c’è sviluppo economico. Perché non hanno più il diritto alla casa: affittare un appartamento, per una giovane coppia, è diventato quasi impossibile. Perché non hanno più il diritto alla mobilità.
E lo sapete bene, voi che oggi siete venuti a Firenze da zone interne: è quasi impossibile prendere un autobus per andare a scuola o a lavorare.
Hanno perso anche il diritto allo studio. Perché ancora oggi, in questa regione, c’è chi non se lo può permettere.
Casa. Studio. Lavoro. Mobilità. Solo garantendo questi diritti possiamo trattenere i nostri ragazzi in Toscana. Altrimenti, fra cinque anni, ci ritroveremo più poveri, più stanchi, in una regione senza più slancio. Noi dobbiamo invertire questa tendenza. Dobbiamo attirare i giovani, riportarli a vivere qui, nella regione più bella d’Italia, capace di offrire diritti e opportunità.
E sapete cosa? Non ho trovato nessuno di questi ragazzi che mi abbia chiesto il reddito di cittadinanza.Nessuno. Nessun toscano, perché i toscani si sono sempre rimboccati le maniche, anche partendo da condizioni difficili. Nessuno mi ha chiesto assistenzialismo. Il reddito di cittadinanza vale 20 milioni l’anno:
100 milioni in 5 anni. Io voglio investirli per i disabili, per creare opportunità per i giovani, per sostenere le aziende, per aiutare i nostri anziani, per chi assiste a casa un familiare in difficoltà. Ci sono mille modi migliori per spendere quei 100 milioni. Non nell’assistenzialismo.
Perché non è solo una questione di risorse. È una questione di identità. È tradire il DNA dei toscani. Noi quel DNA non lo spezzeremo.
Noi siamo diversi. Vogliamo uscire con le nostre forze dalle difficoltà.
Tutti mi hanno detto che ce la possiamo fare. Che la Toscana ha dentro tutto quello che serve.
Abbiamo tutto quello che serve. Basta rimetterlo in moto.
Le persone che ho incontrato mi hanno detto: “Possiamo farcela. Possiamo andare più veloci. Possiamo essere più moderni. Possiamo garantire i diritti.” E quindi non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo dimostrarlo adesso, che non ci vogliamo arrendere.
Io vi ho portato fin qui. Ho dato tutto. Abbiamo fatto il possibile. Ora tocca a voi parlare di rivoluzione.
Tocca a voi fare la rivoluzione, il 12 e 13 ottobre. Tocca a voi.
Grazie.
Andiamo a votare!