La tragedia di Ezio Clemente, il suicidio della giovane che lo ha ridotto disabile, e il dramma di Sollicciano: una riflessione

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Di Roberto Vedovi 

La notte tra il 29 e il 30 agosto 2024, un episodio brutale ha spezzato la quiete di via Maso Finiguerra, a Firenze. Ezio Clemente, un uomo di 91 anni, è stato aggredito nell’androne del suo palazzo da una giovane di 25 anni di origini rumene, senza fissa dimora, nota nel quartiere per la sua vita ai margini. L’anziano, conosciuto per la sua gentilezza e il desiderio di aiutare chiunque, anche chi viveva in condizioni di estrema fragilità, è stato ridotto in fin di vita, finendo in coma per un mese. Oggi, Ezio è invalido al 100%, costretto a vivere in una RSA con una retta di 4.800 euro al mese, come un “bimbo di due anni”, secondo le parole strazianti del suo avvocato, Guglielmo Mossuto.

La giovane responsabile, condannata a 4 anni e 8 mesi con rito abbreviato, si è tolta la vita il 9 settembre 2025 nella sua cella a Sollicciano, un carcere simbolo di degrado e sofferenza. Una triste vicenda, che intreccia il dramma di una vittima innocente e il tormento di una carnefice segnata da dipendenze e marginalità, e il sistema carcerario Toscano.

Ezio Clemente era un uomo che, nonostante i suoi 91 anni, viveva con dignità e apertura verso il prossimo. La moglie, Chiara Ciampa, lo descrive come una persona che “parlava con tutti, cercava di aiutare e insegnare come comportarsi”. È proprio questa umanità che lo ha portato a incrociare il destino della giovane donna, conosciuta nel quartiere per la sua tossicodipendenza e la vita randagia sotto la tettoia dell’ex cinema Fulgor. Quella notte, Ezio stava tornando a casa dopo aver guardato una partita della Fiorentina in un pub di Borgo Ognissanti. Con il portafoglio in mano, ha sorpreso la giovane nascosta nel disimpegno del condominio, forse in cerca di un rifugio per consumare droga o per altri scopi. Ne è seguito un tentativo di rapina, un corpo a corpo che ha lasciato Ezio a terra, con gravi fratture alla testa e il corpo coperto di sangue.

Le sue condizioni, inizialmente definite irreversibili dai medici di Santa Maria Nuova, sono migliorate quando, il 29 settembre 2024, si è risvegliato dal coma, stringendo la mano della moglie in un gesto che ha commosso tutti. Ma il risveglio di Ezio non è stato un ritorno alla vita di prima. Oggi, l’anziano vive in una condizione di totale dipendenza, un peso enorme per la sua famiglia, che si sente tradita anche dalla giustizia. La figlia, Chiara Clemente, e il suo avvocato hanno espresso profonda delusione per la sentenza che ha condannato l’aggressore a meno di cinque anni, senza riconoscere la recidiva e senza accogliere la richiesta di una consulenza per accertare le gravissime lesioni subite. “Rispettiamo la sentenza, ma ci aspettavamo una decisione diversa,” ha dichiarato Mossuto all’Ansa, annunciando la possibilità di impugnare il verdetto. La famiglia, che non ha ricevuto alcun risarcimento, affronta ora i costi economici e umani di una tragedia che ha stravolto le loro vite.

La giovane di 25 anni, il cui nome non è stato reso noto, era una figura tragica a sua volta. Senza fissa dimora, con un passato in comunità e una tossicodipendenza che la teneva incatenata, viveva ai margini di una società che non è riuscita a tenderle una mano. La sua aggressione a Ezio, secondo quanto ricostruito, potrebbe essere stata un gesto impulsivo, dettato dalla disperazione o dalla necessità di procurarsi denaro per una dose. Le indagini, rapide grazie alle telecamere di sicurezza e alla descrizione fornita da Ezio stesso, hanno portato al suo fermo con l’accusa di rapina e lesioni. Condannata in primo grado a 4 anni e 8 mesi, la giovane ha vissuto il suo ultimo anno nel carcere di Sollicciano, un luogo descritto come una “discarica sociale” da associazioni e politici . Il suicidio della giovane, avvenuto il 9 settembre 2025, ha messo in luce il dramma delle condizioni carcerarie a Sollicciano. La struttura, sovraffollata (565 detenuti per 358 posti), con carenze croniche di personale e strutture fatiscenti, è un simbolo del fallimento del sistema penitenziario italiano. La giovane, che stava seguendo un percorso di disintossicazione e avrebbe potuto presto richiedere i domiciliari, non ha retto al peso di un ambiente che amplifica la disperazione. La sua morte, la sessantesima per suicidio nelle carceri italiane nel 2025, è un grido d’allarme sull’urgenza di interventi per la salute mentale dei detenuti. “Servono più interventi per la salute mentale,” denuncia l’Associazione Luca Coscioni, che chiede la chiusura di Sollicciano e un ripensamento radicale del sistema carcerario.

La vicenda di Ezio e della giovane rumena pone una questione etica e sociale complessa: come bilanciare i diritti di una vittima innocente con quelli di una carnefice che è, a sua volta, vittima di un sistema che l’ha abbandonata? Ezio, con la sua vita distrutta e una famiglia che lotta per dargli dignità, merita giustizia e sostegno. La sentenza, che ha concesso attenuanti generiche e un risarcimento di soli 3.000 euro (in attesa di una definizione in sede civile), appare alla famiglia come una beffa. Al contempo, la giovane, segnata da una vita di marginalità e dipendenze, non ha trovato nel carcere un’occasione di riscatto, ma un baratro che l’ha inghiottita.

La tragedia, in questa storia sta nel contrasto tra due fragilità: quella di un anziano che voleva aiutare il prossimo e quella di una giovane che, forse, non ha mai conosciuto un’alternativa alla strada. Ma il cuore della vicenda resta Ezio, un uomo che ha pagato il prezzo più alto per la sua umanità. La sua sofferenza, fisica e psicologica, e quella della sua famiglia devono essere al centro della riflessione. Il sistema giudiziario e sociale deve garantire che le vittime non siano lasciate sole, mentre si lavora per prevenire tragedie come quella della giovane, il cui suicidio è l’ennesima prova di un carcere che non rieduca, ma distrugge.

L’aggressione a Ezio ha scosso profondamente il quartiere di via Maso Finiguerra, già segnato da problemi di sicurezza e degrado. La moglie di Ezio, Chiara, ha denunciato l’abbandono delle istituzioni: “Questo posto è stato troppo abbandonato, non abbiamo aiuti da nessuna parte.” Nonostante le promesse di maggiore sicurezza, con pattugliamenti e ordinanze per chiudere anticipatamente i minimarket, i residenti lamentano che le misure siano state solo temporanee. La sindaca Sara Funaro ha espresso solidarietà e promesso un impegno congiunto con prefettura e forze dell’ordine, ma la sensazione di insicurezza persiste.

La storia di Ezio, che stringe la mano della moglie dopo un mese di coma, è il riflesso di un’umanità che ha subito due violenze: quella fisica e quella istituzionale, in un Paese che non riesce a difendere i suoi cittadini più fragili.

 

Foto: Copyright  Fotocronache Germogli