I “Fochi” di San Giovanni, il patrono che predicava rettitudine: una sfida antica, anche per chi amministra oggi
Ogni 24 giugno Firenze celebra il suo Santo Patrono con una delle tradizioni più amate e sentite: i Fochi di San Giovanni. Un evento che ogni anno richiama migliaia di persone, pronte a riempire le terrazze, i tetti e i lungarni per assistere al grande spettacolo pirotecnico che infiamma il cielo sopra l’Arno.
I “fochi”, come li chiamano affettuosamente i fiorentini, sono molto più di un semplice spettacolo pirotecnico. Affondano le radici nei riti pagani del solstizio d’estate, quando i falò celebravano la luce e il raccolto. Nel secolo XIV, con l’arrivo della polvere da sparo, le fiamme lasciarono spazio ai razzi e alle esplosioni colorate, mantenendo però intatto il loro valore simbolico: illuminare la città e proteggere i suoi abitanti.
Dal 1923 i fuochi si sparano dal Piazzale Michelangelo, il balcone panoramico più celebre della città. Migliaia di persone si riversano lungo l’Arno, dai lungarni ai tetti, per godersi uno spettacolo che, puntuale, alle 22 in punto, incendia il cielo fiorentino con luci, colori ed emozioni. Dal 1796 è la Società di San Giovanni Battista a organizzare per la Città di Firenze “Fochi” ogni anno più spettacolari e sempre più ammirati da tutti coloro che, la sera del 24 giugno si riversano sulle rive dell’Arno o affollano le terrazze per farsi inondare di tanta luce ben augurante.
Prima della conversione al cristianesimo, la città era legata al dio Marte. Durante la dominazione longobarda, la città cercò una nuova guida spirituale che incarnasse ideali di rettitudine, fermezza e verità. San Giovanni Battista non predicava nei templi, ma in mezzo alla polvere del deserto, vestito con un mantello di peli di cammello e cibandosi di locuste e miele selvatico, attirando folle da Gerusalemme e da tutta la regione. Era una voce solitaria, libera da poteri e compromessi, che annunciava con severità e passione la necessità della conversione. La sua figura era il simbolo dell’integrità morale, della parola che non si piega. Giovanni non temeva il potere: fu proprio la sua franchezza nel denunciare il peccato del re Erode – che aveva preso in moglie Erodiade, moglie di suo fratello – a costargli la vita. Arrestato e imprigionato, fu infine decapitato per volere di Erode, che acconsentì a una macabra richiesta della figlia di Erodiade Salomè, come raccontato nei Vangeli (Marco 6,24-28). Per i fiorentini, operosi e mercanti, San Giovanni Battista rappresentava l’onestà, la parola data e la rettitudine morale: valori fondamentali per una città che faceva del commercio e della reputazione il proprio orgoglio. Non a caso, il suo volto venne inciso sulle monete d’oro della Repubblica: i celebri fiorini.
La festa del 24 giugno non è solo fuochi. La giornata si apre con la tradizionale offerta dei ceri. In epoca antica, tra gli obblighi solenni delle famiglie nobili fiorentine vi era quello di offrire doni al patrono della città, San Giovanni Battista. Queste offerte consistevano principalmente in ceri e lunghi pali di legno, simboli di devozione e rispetto. Una parte di questi ceri veniva destinata a restare accesa tutto l’anno all’interno del Battistero, dedicato proprio al santo protettore di Firenze. Ancora oggi, questa tradizione millenaria viene rinnovata ogni 24 giugno. In prima mattina, il Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, accompagnato dal Cerimoniale e dalle autorità cittadine, parte da piazza della Signoria per raggiungere il Battistero. Lì si svolge la simbolica offerta dei Ceri a San Giovanni, seguita dalla solenne celebrazione eucaristica in Cattedrale, durante la quale viene esposta alla venerazione pubblica la preziosa reliquia del Santo. Nel pomeriggio, l’anima laica e combattiva della città si risveglia con la finale del Calcio Storico Fiorentino, giocata in piazza Santa Croce. Tra tamburi, costumi rinascimentali e sfide spesso anche violente, Firenze ricorda la propria fierezza, in uno degli eventi più pittoreschi d’Italia.
I Fochi di San Giovanni sono oggi uno dei rari momenti in cui Firenze riesce davvero a ritrovarsi: residenti, turisti, bambini e nonni, studenti e curiosi si raccolgono insieme sotto lo stesso cielo, dimenticando (almeno per una sera) traffico, scudi verdi e polemiche cittadine. È la festa che unisce il sacro e il profano, lo stupore collettivo e la memoria condivisa, in un rito che rinnova ogni anno il legame profondo tra la città e il suo patrono.
Perché, come recita il vecchio adagio, “San Giovanni non vuole inganni”. L’uomo che battezzò Cristo e ne annunciò l’arrivo non fu solo un santo da venerare, ma un esempio da imitare. Sceglierlo come patrono significava aspirare a una città giusta, retta e libera da inganni: qualità tanto ambite quanto difficili da mantenere. E se Firenze, nei secoli, ha provato a onorare queste massime di onestà e trasparenza con fierezza, non sempre si può sempre dire lo stesso di chi l’ha amministrata.
Ma per una notte, sotto il cielo acceso dai fuochi e il riflesso dell’Arno, resta viva la speranza che la città possa un giorno riscoprire il vero senso della sua grandezza e integrità morale — quella che ha mostrato in passato, e quella che potrebbe ancora conquistare. In fondo, tra luce e memoria, tutto sembra ancora possibile.
Foto: Copyright Fotocronache Germogli