Il Poderaccio, paradigma di un approccio ideologico all’integrazione
che ha fallito su tutti i fronti: tra retorica progressista, gestione miope
e inerzia davanti alle emergenze sociali e ambientali
Di Roberto Vedovi
Il Poderaccio, tra l’Isolotto e il fiume Arno, è il simbolo di una gestione amministrativa miope e da sempre incapace di affrontare problemi complessi con soluzioni veramente efficaci. Nato come campo rom negli anni Sessanta, il Poderaccio è diventato nel tempo un simbolo di degrado, criminalità e abbandono, alimentato da decenni di scelte politiche inefficaci che hanno innescato un circolo vizioso di emergenze sociali e ambientali. La creazione del campo, le sue continue criticità, lo sgombero nel 2020, la bonifica finanziata con fondi europei e la successiva trasformazione in una nuova discarica abusiva e dove è possibile trovare di tutto, dagli scarti di lavori edili ,ai residui tessili, RAEE (rifiuti da apparecchiature elettroniche) raccontano una storia di promesse tradite e di un’amministrazione comunale che, con un approccio ciecamente ideologico, ha trasformato un progetto di integrazione in un emblema di inefficienza e fallimento.
Negli anni Sessanta, in un contesto di migrazioni dalla ex Jugoslavia, l’amministrazione fiorentina, guidata da una visione di sinistra che promuoveva l’accoglienza senza alcuna strategia concreta, decise di creare il Poderaccio come campo sosta per nomadi. Quella che fu presentata come una scelta solidale si tradusse ben presto in una soluzione ghettizzante: intere famiglie vennero confinate in un’area periferica della città, priva di servizi essenziali e infrastrutture adeguate. Negli anni Ottanta, con l’arrivo di nuovi gruppi rom da Macedonia, Serbia e Bosnia, il campo si espanse in modo caotico, mentre il Comune continuava a ignorare l’esigenza di una politica di integrazione o, quantomeno, di una gestione strutturata dell’area. All’inizio degli anni 2000, l’amministrazione optò per la costruzione di 79 casette in legno, trasformando il Poderaccio in un insediamento stabile che ospitava fino a 470 persone. Questo progetto, sbandierato come un esempio di integrazione, fu in realtà un’operazione di facciata, che cristallizzò un ghetto senza affrontare le cause profonde della marginalità. La sinistra fiorentina, accecata dall’ideologia dell’accoglienza a ogni costo, ignorò le necessità di pianificazione e controllo, ponendo le basi per decenni futuri di degrado. Per decenni, la mancanza di controlli efficaci da parte del Comune, ossessionato dal timore di apparire discriminatorio, ha permesso che l’area diventasse un focolaio di attività illecite, dallo spaccio di droga a furti e risse.
L’omicidio di Duccio Dini nel 2018, vittima di un inseguimento tra bande rom, segnò un punto di non ritorno, portando migliaia di cittadini in strada a chiedere lo smantellamento del campo. Incidenti stradali causati da abitanti del campo, risse e atti di vandalismo, come la maxirissa a Villa Vogel, hanno ulteriormente esasperato la popolazione locale, che si è sentita abbandonata da un’amministrazione più interessata a difendere un’immagine di progressismo che a garantire sicurezza e legalità. La presenza di insediamenti abusivi nelle aree limitrofe, con baracche precarie e condizioni igieniche disastrose, è stata ignorata per anni, nonostante le segnalazioni dei residenti. Questa inerzia, giustificata da un’ideologia che privilegiava il dialogo a scapito dell’azione, ha trasformato il Poderaccio in una “terra di desolazione”, come descritto da toponimi storici, dove il Comune ha lasciato che il degrado si radicasse senza mai intervenire con decisione.
Nell’agosto 2020, dopo anni di pressioni politiche e proteste, il campo rom del Poderaccio fu finalmente smantellato. Il sindaco Dario Nardella, esponente di una sinistra che si è sempre proclamata paladina dell’integrazione, celebrò l’evento come una vittoria, sottolineando che la chiusura era stata realizzata senza l’uso della forza pubblica. Tuttavia, questa narrazione trionfalistica nasconde una realtà ben diversa. Delle 470 persone che vivevano nel campo nel 2014, solo una minoranza ottenne alloggi di edilizia pubblica, mentre molte famiglie furono ricollocate in strutture temporanee o lasciate a trovare soluzioni autonome, senza un vero piano di integrazione. Le baracche abusive nelle aree vicine rimasero intatte, perpetuando condizioni di precarietà e illegalità. L’area sgomberata fu lasciata in uno stato di abbandono, con cumuli di macerie, auto distrutte e rifiuti di ogni genere, senza un piano immediato per la bonifica. L’amministrazione, invece di cogliere l’occasione per una rigenerazione urbana, si limitò a un’operazione di facciata, dimostrando che l’ideologia dell’integrazione a tutti i costi non si traduceva in soluzioni concrete.
Nel 2023, con un investimento di 1,5 milioni di euro finanziati dai fondi europei React, partirono i lavori di bonifica ambientale dell’ex Poderaccio, annunciati con grande enfasi dall’assessore all’ambiente Andrea Giorgio. L’obiettivo era trasformare l’area in una parte del futuro Parco Florentia, un ambizioso progetto verde di 90 ettari progettato da Hydea Spa e Studio Rossi Prodi & Associati, finanziato anche dalla Fondazione Cr Firenze. La bonifica, iniziata a maggio 2023, prevedeva la rimozione di rifiuti speciali, la messa a dimora di oltre 120 alberi e la creazione di un’area cani. Tuttavia, il progetto si è rivelato un ennesimo fallimento. La sinistra, che ha sempre usato il Poderaccio come bandiera di un’integrazione utopistica, non ha previsto misure per prevenire il ritorno del degrado. La mancanza di controlli efficaci, con fototrappole insufficienti e un’area troppo vasta per essere sorvegliata adeguatamente, ha permesso che il Poderaccio tornasse a essere una discarica abusiva, vanificando i fondi europei e le promesse di rigenerazione.
Oggi, nel 2025, il Poderaccio è di nuovo un simbolo di degrado. Come denunciato da comitati cittadini, gruppi social e non ultimo il coordinatore fiorentino di FDI, Jacopo Cellai, l’area è invasa da rifiuti di ogni tipo: mobili, elettrodomestici, carcasse di auto, scarti edili materiali tessili e RAEE. La pratica degli “svuotacantine” e l’abbandono di scarti da lavorazioni illecite, come quelle tessili, hanno trasformato il sito in una discarica a cielo aperto, senza che il Comune abbia implementato misure efficaci come telecamere di videosorveglianza o pattugliamenti regolari. La promessa del Parco Florentia, con la sua “Green Farm” e il “future park” dedicato alle tecnologie a impatto zero, rimane un miraggio, un altro progetto annunciato con enfasi ideologica ma privo di concretezza. I fondi europei, che avrebbero dovuto finanziare una rigenerazione urbana, spesi per un’operazione di facciata, mentre i residenti del Quartiere 4 continuano a vivere accanto a un’area che sembra una periferia del terzo mondo.
L’integrazione imposta ad ogni costo, diventata un dogma per l’amministrazione di sinistra, ha generato nel tempo solo inefficienza e degrado. Il caso del Poderaccio non è mai stato affrontato con realismo e visione strategica, ma guidato da un’ideologia che ha anteposto la retorica dell’accoglienza alle reali esigenze di sicurezza, decoro urbano e benessere dei cittadini. La creazione del campo rom, la mancata gestione delle sue problematiche, lo sgombero mal pianificato e la bonifica incompiuta sono tutti capitoli di una storia in cui l’amministrazione ha scelto di inseguire un’immagine progressista, trascurando la realtà sul campo. Quella che avrebbe potuto essere un’occasione di riscatto urbano è oggi una discarica a cielo aperto, vero e proprio monumento al fallimento politico di un’amministrazione che ha sacrificato le esigenze dei suoi cittadini sull’altare di una mala-interpretata “integrazione”.