FOCUS LFCV | Gli alberi, una vera e propria infrastruttura di salute pubblica. Contro la falsa ecologia del “taglia e pianta”

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Come le norme attuali, tra cui il Codice della Strada e i Criteri Ambientali Minimi, contribuiscono a una “deforestazione” sistematica e silenziosa nelle città ialiane, penalizzando la biodiversità e la qualità della vita dei cittadini

 

Di Dante Schiavon

La strategia dell’UE indicata nella “legge sul ripristino della natura” (Nature Restoration Law, NRL) si basa sul principio generale di “piantare e far crescere l’albero giusto nel posto giusto e per lo scopo giusto”. Al rispetto di questo principio della NRL si ispirano i cittadini e i comitati che da anni in innumerevoli occasioni si oppongono all’abbattimento quasi schizofrenico di tantissimi alberi che si trovano vicino alle abitazioni, lungo le strade, i marciapiedi, i parchi, che sono, in definitiva, i luoghi dove vivono le persone che potrebbero così beneficiare dei loro servizi ecosistemici: assorbimento della CO2 e delle polveri sottili, attenuazione delle ondate di calore e fornitura gratuita, grazie all’ombra della loro chioma, della agognata frescura nelle estati torride, abbellimento del paesaggio, incentivazione alla nostra voglia di camminare e di fare comunità nei centri urbani, creazione delle condizioni per far vivere tra le loro fronde una variegata microfauna e tra le loro radici un variegato insieme di microrganismi (si chiama biodiversità).

Ma nell’oggi contemporaneo è in atto uno storpiamento “green” sulla funzione degli alberi, un tipico esempio dove la “cronaca” prende il posto della ”storia”: si abbattono ”alberi anziani” con la promessa di piantare “alberi più giovani” e in maggior quantità. Ma questa filosofia pseudo-ecologica “usa e getta” con cui ci si priva dei ”servizi ecosistemici” dei vecchi alberi esistenti ignora, come ci ricorda il professor William Moomaw, che “per compensare il valore di un solo albero abbattuto di 80 anni di vita bisognerebbe mettere a dimora più di 3.000 nuove piante di circonferenza del tronco non inferiore a 14 cm affinché svolgano una buona funzione fotosintetica fin dal momento della loro messa a dimora”. Ma qual è il posto giusto per far crescere un albero nei nostri centri urbani? E’ questo il nodo da sciogliere: bisogna sovvertire la demonizzazione degli alberi e le leggi che la legittimano e colmare le carenze normative che li dovrebbero proteggere. Mi soffermo su due aspetti normativi grossolanamente antistorici e climalteranti: gli alberi lungo le strade e gli alberi nei centri urbani.

Attualmente, in base al Codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992 s.m.i. e relativo regolamento di attuazione), nelle strade extraurbane la distanza da rispettare dal confine della carreggiata per impiantare alberi non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 metri. Già qui c’è qualcosa che non torna, e non tornava neppure ad alcune associazioni ambientaliste, che nell’aprile del 2021, constatando come tale norma stesse deforestando la fascia laterale delle strade, avevano avanzato la richiesta al Ministro delle Infrastrutture per una modifica del Codice della Strada.

Bisogna quindi capovolgere la nostra visione sugli alberi: pensarli come elementi di una vera e propria “infrastruttura di salute pubblica” in grado di aiutare il benessere fisico e mentale dei cittadini e l’equilibrio biologico e climatico del pianeta. I servizi ecosistemici forniti agli utenti (i cittadini) dagli elementi di tale infrastruttura devono essere garantiti dallo Stato e dalle sue leggi. Per tale infrastruttura devono essere stanziate risorse, non solo per la collocazione dei suoi elementi (alberi, siepi) e il loro censimento e monitoraggio, ma anche per garantire la loro longevità ecosistemica evitando potature drastiche, capitozzature e i danni al colletto e all’apparato radicale per lavori pubblici o privati che ne minano la sopravvivenza. L’altro aspetto normativo grossolanamente climalterante e da cambiare per via legislativa riguarda la “salute” e la “sopravvivenza” degli alberi all’interno dei centri urbani dove i Criteri Ambientali Minimi (CAM) per il servizio di gestione del verde pubblico indicati dal D.M. n. 63 del 10 marzo 2020 sono totalmente disattesi. Basti pensare alla mancanza di sanzioni se le amministrazioni affidano il servizio a persone non dotate della necessaria competenza o alla mancanza di sanzioni per gli operatori del verde che (punto 11 dei CAM) praticano la capitozzatura, la cimatura e la potatura drastica, tutte operazioni che indeboliscono gli alberi e possono creare nel tempo situazioni di instabilità.

È tempo di dire basta alla “criminalizzazione” degli alberi e al mantra irrazionale della sicurezza. La possibile caduta di un albero diventa un rischio gestibile se gli alberi vengono tutelati e gestiti come elementi imprescindibili di una “infrastruttura di salute pubblica”. È necessario “relativizzare” in modo razionale il bisogno di sicurezza: d’altronde non è che perché corriamo il rischio di fare un incidente stradale rinunciamo ad usare la nostra auto (indagine ISTAT 2019: 170.000 incidenti stradali 3000 morti 240.000 feriti).

Mi auguro che i Verdi riescano a mettere in cima alla loro agenda politica il tema del verde lungo le strade, i marciapiedi, nelle piazze: è quello che chiedono le associazioni di volontariato ambientale, i comitati spontanei e singoli cittadini che si oppongono al taglio dei vecchi alberi, spesso accompagnato da motivazioni assurde o pretestuose e senza verifiche strumentali sul loro stato di salute.
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