La transizione ecologica va a corrente alternata
Di Nadia Fondelli
Dopo il blackout che ha colpito (e affondato) Firenze — con negozi chiusi, persone bloccate in ascensore, ristoratori disperati e gelaterie costrette a buttare via quintali di merce — ecco che, puntuale come una tassa, arriva il colpevole designato: il cambiamento climatico. Ma certo, come potevamo dubitarne? Greta Thunberg docet. Per il mainstream che ingrassa il grande business del “green”, è tutto chiaro. Ma non fatevi ingannare, anche se vogliono che la vostra memoria sia corta — anzi, cortissima: qualche domanda sarebbe il caso di porsela.
Il 28 aprile scorso, in Spagna e Francia, si è verificato un analogo blackout. Era un giorno di primavera inoltrata, con temperature perfino freschine (a Madrid non si sono superati i 15° di massima). E di chi era la colpa? Delle temperature troppo poco miti, forse? Suvvia, non facciamoci prendere per il naso e proviamo piuttosto a riflettere e a capire come evitare di finire nel baratro verso cui ci stanno spingendo — a colpi di scelte programmatiche ottuse — i governi europei, incantati dalla ragazzina svedese e dai suoi sodali. Al momento del blackout, circa il 70% della produzione elettrica iberica proveniva da impianti fotovoltaici ed eolici, tecnologie la cui produzione di energia è instabile e muta a seconda delle condizioni atmosferiche, introducendo fluttuazioni e oscillazioni di frequenza nel sistema.
L’energia del Novecento, quella che ci ha fatto diventare paesi industrializzati, ci ha salvato dalle carestie e ci ha tolto dalla fame delle campagne oggi è diventata il nemico pubblico numero uno da abbattere in nome dell’energia “pulita” e soprattutto elettrica. Una corsa folle e verticale che, spinti dalla narrativa dell’apocalisse imminente, ha portato in molti a “convertirsi” senza chiedersi se il sistema fosse in grado di reggere.
In Italia, un piccolo assaggio l’abbiamo avuto il 28 settembre 2003. Una domenica apparentemente tranquilla si trasformò in un incubo, a causa di un guasto al confine con la Svizzera che spense l’intero Paese: aerei a terra, treni fermi, città paralizzate. Già quell’estate la rete elettrica aveva mostrato segni di cedimento per il sovraccarico dovuto all’uso massiccio di condizionatori e refrigeratori, ma da quella lezione non abbiamo imparato nulla: siamo andati dritti verso il buio. Non solo metaforico.
È successo di nuovo in Spagna, dove le ipotesi più accreditate parlano di un blackout causato da una semplice vulnerabilità strutturale della rete, scatenata da un (banalissimo) guasto. La realtà è semplice e scomoda: le reti elettriche non sono in grado di reggere l’enorme domanda generata dalla transizione green, imposta dall’alto senza una base tecnica solida.
Prendiamo ad esempio le auto elettriche. Il Volante, già nel 2021 si chiedeva cosa sarebbe successo se tutti si fossero convertiti all’elettrico. Uno studio inglese — citato dal presidente della Commissione Trasporti della Camera dei Comuni — lanciava l’allarme: senza un adeguato potenziamento, la rete del Regno Unito non avrebbe retto la ricarica simultanea di milioni di veicoli.
Il problema non è l’energia, ma la potenza. Uno studio del 2019 del Politecnico di Milano calcolava che la rete italiana non potrebbe supportare la ricarica simultanea di milioni di auto elettriche. Supponendo una potenza media di 100 kW per colonnine fast DC, 185.000 veicoli in ricarica simultanea richiederebbero 18,5 GW. Ovvero più del 33% della potenza media impegnata in Italia (55 GW). E su scala locale? Cinquanta auto in ricarica contemporanea richiederebbero 5 MW: sufficiente a mandare in crisi un intero quartiere.
Torniamo ora al caldo e al suo presunto legame con il blackout. L’estate più calda degli ultimi decenni resta quella del 2003, con temperature che in molte città italiane superarono i 40°. I più grandi ricorderanno anche il 1983 con picchi simili; a Firenze, il 26 luglio si toccarono i 42,6° mentre nel 1962 a Pantelleria si sfiorarono i 43°.
Solo che all’epoca non c’erano condizionatori e refrigeratori, al massimo qualche ventilatore…e la rete elettrica reggeva.
Oggi il problema non sono le temperature, ma il consumo che le accompagna. Condizionatori ovunque, refrigeratori ovunque, auto elettriche e nel caso di Firenze, anche un numero esagerato di cantieri attivi contemporaneamente, con macchinari energivori che aggravano la situazione. In una mia inchiesta precedente su LFCV (“Il tetto-giardino del social hub: un’oasi green ad alto impatto ambientale”) ho riportato dati ufficiali — consultabili da chiunque — sul consumo energetico medio di una stanza d’albergo sottolineando che un ospite consuma 21 kWh al giorno, mentre una famiglia di quattro persone nel suo appartamento consuma dagli 8 ai 10 kWh giornalieri. Tradotto: un ospite d’hotel consuma da solo più del doppio di un’intera famiglia, e dieci volte più di un singolo componente.
Provate ora a immaginare quanti palazzi del centro storico fiorentino sono stati riconvertiti in miniappartamenti turistici, ognuno con la sua bella aria condizionata (solo nell’area dell’ex Teatro Comunale ne sorgeranno 150!). E capirete che il buio è dietro l’angolo e non è colpa del cambiamento climatico, ma di scelte scellerate.
Si salvi chi può.