A un anno dall’insediamento, la giunta Funaro affonda tra cantieri fermi, promesse mancate e una città che perde fiducia. Il restauro del Franchi diventa il simbolo di un sogno amministrativo diventato incubo
Di Nadia Fondelli
Il compositore e cantante melodico Cesare Cesarini, che nel 1939 scrisse “Firenze sogna”, fu sicuramente un visionario. Nella strofa “Dorme Firenze / sotto il raggio della luna / ma dietro a un balcone / veglia una madonna bruna” aveva forse già immaginato (o era un incubo?) che 85 anni dopo una “madonna bruna” avrebbe davvero vegliato su Firenze. Ma forse, non aveva considerato che quella magica e sentimentale atmosfera notturna, illuminata solo dalla flebile luce della luna, le avrebbe impedito di vedere.
Solo una totale cecità può infatti giustificare lo sfacelo in cui è caduta Firenze in appena un anno di amministrazione della sindachessa Sara “fumosa” Funaro. Una brava madonna bruna, certo: timida, dimessa e impacciata. Buona per sospirare la notte sul balcone ad ammirare la città, ma non per stare nella stanza dei bottoni di Palazzo Vecchio.
Dopo la pessima gestione della sicurezza — dove dimentica, o forse ignora, che i suoi poteri di sindaco le permetterebbero di agire con provvedimenti ad hoc, ma riesce solo a scaricare su altri le responsabilità, come un bambino sorpreso a rubare caramelle — dopo la perseveranza miope nel portare avanti il progetto del treno-tram, che violenta e sventra la città rendendo inutile anche l’unica pseudo-circonvallazione esistente (realizzata quando a Firenze circolavano i cavalli) — e dopo l’albericidio travestito da “riqualificazione verde” o “rigenerazione ambientale”, portato avanti con un killeraggio programmato a tavolino per far posto a ferro, pali e cemento — ecco che cala il poker con il quarto “capolavoro”: l’aver perso completamente il controllo e la gestione del restauro dello stadio Franchi, portato avanti con cocciutaggine dal suo predecessore e mentore, Dario Nardella.
Che il cerino sarebbe rimasto in mano alla madonna bruna, dopo la cervellotica e schizofrenica gestione della vicenda “stadio nuovo o da restaurare” — portata avanti per un decennio tra discussioni, litigi, lotte intestine al Pd e scelte scellerate da chi oggi, come Ponzio Pilato dal suo scranno di Bruxelles, se ne lava le mani — era noto a tutti. E anche a lei, che accettando l’investitura a sindachessa, quel cerino se l’è preso e si è bruciata non solo un dito.
L’amministrazione fiorentina, dopo 15 anni di promesse e 10 mesi di supercazzole, ha esaurito il dizionario dello scusometro. Nonostante l’ostinazione del consigliere Massimo Sabatini, che con la stessa puntualità con cui si mette a tavola pranzo e cena chiedeva ogni settimana lumi in consiglio comunale all’assessora allo sport Letizia Perini — mandata allo sbaraglio dalla titolare delle grandi opere (che guarda caso è la stessa Sara “fumosa” Funaro) — in dieci mesi non si è levato un ragno dal buco: varianti infinite, cronoprogrammi inesistenti, conferenze dei servizi addormentate come la Bella nel bosco e scuse ridicole per il fermo dei lavori.
La giovane Perini, pur forte del suo pedigree politico di “figlia di” e “nipote di”, si è trovata come un topolino davanti a una montagna da scalare. In questi mesi ha saputo solo celare l’imbarazzo dietro risolini e battutine, facendo acrobazie e carpiati pur di non dare risposte. Anche perché, di risposte, non ne aveva. Ma la madonna bruna non aveva considerato che nella “Firenze bella sotto un manto di stelle”, che nell’ombra nasconde gli amanti, non si riescono però a nascondere le bugie — quelle sì, hanno avuto le gambe fin troppo lunghe dato che sono riusciti, per grazia ricevuta, a scavallare le elezioni regionali, evitandosi un epocale schianto politico.
Nel frattempo Firenze non sogna più – almeno, non lo stadio – e vede svanire non solo il sogno di festeggiare il centenario dell’amata Fiorentina nello stadio costruito dal marchese Ridolfi a tempo di record (dal progetto del 1929 all’inaugurazione del 13 settembre 1931), ma anche quello di poter essere scelta come città ospitante degli Europei del 2032. Un’occasione che avrebbe significato una cascata di investimenti europei per stadi e infrastrutture (si parla di oltre 1,5 miliardi in totale) oltre a un indotto economico non indifferente. Soldi che a Firenze servirebbero come il pane, dopo la genialata non riuscita dell’ex sindaco Nardella, che aveva pensato di spacciare il rione di Campo di Marte per “zona disagiata” pur di mettere le mani su 200 milioni di euro del Pnrr per il restauro del Franchi.
Ricordiamo che i fondi al momento disponibili – ammesso che non siano già evaporati – sono sufficienti forse solo per il primo lotto, quello che doveva essere già terminato (anche se ci diranno che non è vero, non avendo mai fornito un cronoprogramma). E nonostante l’assist del governo con i 55 milioni mancanti — sì, quel governo “brutto, sporco e cattivo” — la situazione non è cambiata: i soldi del Pnrr rischiano di svanire del tutto, mentre la clessidra corre veloce verso il 31 dicembre 2026.
A questo punto, un piccolo bignamino di storia è d’obbligo: i fatti attuali sono ancora più imbarazzanti se confrontati con quanto accadde un secolo fa, quando il marchese Luigi Ridolfi, proprietario della Fiorentina, si indebitò di tasca propria per sostituire il vecchio impianto di via Bellini e fece progettare l’attuale Artemio Franchi nel 1929, inaugurandolo il 13 settembre 1931 con l’amichevole Fiorentina–Admira Vienna.
L’imbarazzante farsa dello scusometro, andata in scena quasi tutti i lunedì in consiglio comunale, ha visto come protagonisti da una parte Sabatini e dall’altra l’assessora Perini — in nome e per conto della madonna bruna latitante. La saga è iniziata con l’avvio ufficiale dei lavori, il 3 giugno 2024, e proseguita con un copione tragicomico.
Ecco la sintesi:
- Dicembre 2024: trivellazioni in curva Ferrovia rallentate, perché “le rocce sono troppo dure”
- Febbraio 2025: “piove troppo” (effettivamente l’inverno non è noto per la sua siccità…)
- Marzo 2025: “arriverà il cronoprogramma, ma dopo la variante al progetto”
- Maggio 2025: “la variante è sostanziosa, ma lavoreremo più velocemente in estate”
- Giugno 2025: “la conferenza dei servizi è ancora in corso… da marzo”
- Luglio 2025: “troppo caldo per lavorare” (effettivamente i mesi di luglio a Firenze sono notoriamente freschi)
- Agosto 2025: “vorremmo lavorare di notte, ma i residenti si lamentano”
- Ottobre 2025: ancora sorrisini, sbeffeggiamenti e nessuna risposta.
E adesso?
La madonna bruna scarica colpe su direttori generali, direttori dei lavori, operai, pioggia d’inverno e caldo d’estate. Dopo non averci mai messo la faccia, presa com’era a sospirare sul balcone “al cospetto della bella Firenze sotto un manto di stelle”, adesso che il sogno dello stadio svanisce, le resta una sola cosa da fare: tornare (e restare) su quel balcone, a mirare Firenze — ancora più bella sotto un manto di stelle — sapendo che non ha più in mano il cerino dei lavori, quello che faceva risplendere mille fiammelle sull’Arno d’argento, dove si specchia il firmamento.

