Seconde generazioni tra identità negata e rifiuto dell’integrazione: le radici strutturali del disagio
Di Roberto Vedovi
Il dibattito sul fenomeno maranza è esploso alla fine del 2025, innescato da un articolo su Il Giornale del 21 dicembre che ironizzava sul “maranza come nuovo cocco degli intellettuali marxisti”, citando saggi recenti che lo interpretano come figura di rivalsa proletaria o barbarie periferica. Autori come Houria Bouteldja (Maranza di tutto il mondo, unitevi!, DeriveApprodi), Gabriel Serrousi (La periferia vi guarda con odio) e Tommaso Sarti (Pisciare sulla metropoli. (T)rap, Islam e criminalizzazione dei maranza) propongono letture che enfatizzano l’empowerment delle seconde generazioni attraverso la trap, criticando la criminalizzazione come fobia razziale.
Questa visione ha trovato eco nella replica di Alberto Piccinini sul Manifesto del 28 dicembre, che descrive l’attenzione al fenomeno come “nevrosi fantasmatica” della destra, una propaganda che razzializza un disagio giovanile effimero, paragonabile a teddy boys o punks.
Queste interpretazioni, pur stimolanti, rischiano di polarizzare un fenomeno complesso. La realtà del 2025, supportata da dati del Viminale, questure e cronache giudiziarie, mostra che i maranza non sono mera costruzione mediatica né puro “lumpenproletariat” rivoluzionario: si tratta di una subcultura adolescenziale con radici nella marginalità, amplificata da social e trap, e con una componente delinquenziale che genera insicurezza diffusa e vittime concrete.
Il termine, slang milanese anni ’80 per “tamarro”, rinasce su TikTok (2019-2022) con un’estetica codificata: tute acetate con bande laterali, scarpe Nike TN, piumini lucidi smanicati, marsupi Gucci (spesso contraffatti), cappellini. Prevalentemente adolescenti minorenni o appena maggiorenni, molti italiani di seconda generazione con origini magrebine o subsahariane, cresciuti in periferie del Nord (Milano, Monza-Brianza, Torino, Brescia). Non tutti delinquono – per molti è sfida virale o identità di gruppo – ma molti si fanno coinvolgere inbaby gangs dedite a rapine stradali, estorsioni, aggressioni in branco, vandalismi e molestie sessuali collettive (taharrush-like). La trap italiana è motore culturale: testi glorificano ghetto, soldi facili, violenza, fughe dalla polizia. Baby Gang (Zaccaria Mouhib) e Simba La Rue (Mohamed Lamine Saida) incarnano questo immaginario, ma nel 2025 accumulano condanne. Baby Gang condannato definitivamente a 2 anni e 9 mesi per sparatoria 2022, arrestato a settembre per pistola clandestina, poi ai domiciliari in comunità. Simba La Rue a 4 anni e 6 mesi per lo stesso episodio, fuggito e arrestato in Spagna ad aprile. Le loro faide (sparatorie, aggressioni) influenzano gli adolescenti, trasformando illegalità in performance. Il 2025 registra escalation: oltre 800 arresti a Milano per aggressioni/rapine (20% minori, 70-80% stranieri secondo questore Megale); baby gang sgominata a Brescia per estorsioni a disabili; challenge virali come quella di Don Alì (arrestato).
Un episodio particolarmente significativo è stato quello della notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano: centinaia di giovani, in gran parte di origine nordafricana, si sono radunati nella piazza centrale, scalando la statua di Vittorio Emanuele II, sventolando bandiere tunisine e marocchine, intonando cori come “Allah Akbar” e insulti contro l’Italia e le forze dell’ordine. Si sono registrate numerose denunce per molestie sessuali ai danni di turiste e ragazze italiane, palpeggiamenti collettivi e tentativi di violenza, oltre a lanci di bottiglie contro la polizia. Le immagini dei disordini hanno fatto il giro dei social e dei telegiornali, portando il sindaco Beppe Sala a motivare la decisione di annullare il prossimo tradizionale concerto di fine anno proprio per motivi di sicurezza pubblica. Quattordici fermi e diverse indagini per reati che vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale alle violenze sessuali hanno seguito l’evento.
Dati Viminale/Sole 24 Ore: reati 2024 +1,7% (2,38 milioni denunce), soprattutto microcriminalità strada (rapine +1,8%, violenze sessuali +7,5%); primi 2025 calo provvisorio -4,9%. Milano, Roma, Firenze al top; stranieri (10% popolazione) in 34-70% reati predatori. Diversamente dalle subculture giovanili del passato, come i teddy boys o i punks, che erano spesso espressioni effimere di ribellione culturale radicata in contesti piccolo-borghesi e raramente sfociavano in violenza sistematica, il fenomeno maranza appare profondamente legato a dinamiche di esclusione sociale più strutturali. Cresciuti in quartieri periferici degradati, molti di questi ragazzi affrontano dispersione scolastica elevata, povertà educativa e una frustrazione identitaria acuta: nati in Italia, spesso con cittadinanza, ma percepiti come “stranieri” dalla società ospitante, finiscono per rifiutare modelli di integrazione tradizionali, trovando nel gruppo e nella provocazione un senso di appartenenza e potere.
Questa rabbia non è solo nichilista, ma riflette un’integrazione fallita che lascia vuoti riempiti da modelli violenti. A livello europeo, il confronto è illuminante: in Gran Bretagna i “roadmen” londinesi, evoluti dai chavs, operano in contesti urbani con violenza più organizzata, spesso legata a gang e traffico di droga; in Francia le “racailles” delle banlieue parigine hanno una storia più lunga e stratificata, con episodi di rivolta collettiva come quelli del 2005, e livelli di criminalità urbana superiori (Parigi ha visto aumenti negli omicidi). In Italia il fenomeno è più recente e adolescenziale, meno strutturato in clan familiari come in Germania o Svezia, ma l’amplificazione digitale – TikTok che premia challenge provocatorie e video di bravate – lo rende virale e contagioso, trasformando atti di microdelinquenza in performance per like e follower.
Le reazioni sociali e politiche sono state fortemente polarizzate. Da un lato, episodi di giustizia fai-da-te: ronde cittadine come “Articolo 52” o “Rinascenza” a Milano e Monza, talvolta sfociate in aggressioni xenofobe. Dall’altro, la Lega ha depositato a Novembre una proposta di legge definita “anti-maranza”: requisiti più stringenti per la cittadinanza (residenza prolungata, esame di integrazione con verifica di lingua e ordinamento giuridico), revoca automatica per condanne gravi (oltre 3-5 anni, inclusi reati di violenza), stretta sui ricongiungimenti familiari. Criticata come discriminatoria, la norma mira a un effetto deterrente, soprattutto verso seconde generazioni percepite come “non meritevoli”.
Gli intellettuali di sinistra tendono a leggere il maranza come forma di empowerment: una rivalsa contro marginalizzazione razziale e classista, con la trap come strumento di visibilità per generazioni razzializzate. La destra, invece, enfatizza l’aspetto securitario, vedendovi una minaccia all’ordine pubblico. Il fenomeno non è solo “bufala razzista” né “barbari rivoluzionari”: è un’emergenza con vittime reali, ma anche sintomo di fallimenti strutturali. Serve un’analisi oggettiva: prevenzione educativa, investimenti nelle periferie, controlli fermi, integrazione inclusiva. Ignorare cause o effetti aiuta nessuno; affrontarlo con i fatti evita escalation in una società già ampiamente polarizzata e frammentata.
Foto: Copyright Fotocronache Germogli
