Di Romana Bergamaschi
Ancora una volta, l’attuale giunta comunale ha dimostrato un totale disprezzo nei confronti dei suoi cittadini, che mercoledì 28, in Piazza della Signoria, gridavano a gran voce la propria rabbia per la desolante situazione in cui versa Firenze: una voce unanime e, ancora una volta, inascoltata.
Non potendo negare l’evidenza dei fatti, la sindaca Funaro e l’assessore Giorgio non si sono nemmeno degnati di rispondere a chi chiedeva, per l’ennesima volta, che la giunta intervenisse contro il degrado e la mancanza di sicurezza. Hanno invece affidato al signor Milani la stesura di un insignificante trafiletto, pieno delle solite frasi fatte. No, signor Milani, non si trattava di un flash mob improvvisato, ma di una manifestazione organizzata da comitati e associazioni cittadine che, in più di quattrocento, si sono ritrovati in piazza senza alcuna connessione né connotazione partitica, mossi solo dal desiderio di farvi capire che siamo stufi di essere presi in giro.
Questo atteggiamento di sufficienza nei confronti dei cittadini mi ha fatto riflettere su come ogni forma di tirannide abbia sempre sfruttato la paura come condizione necessaria per reprimere ogni forma di libertà. Per questo non posso fare a meno di pensare che ci sia una precisa volontà di mantenere questo status quo.
Per timore che la nostra libertà non fosse già abbastanza limitata, hanno imposto gabelle, tasse, telecamere, ZTL, scudi e altre forme di controllo sulla nostra mobilità. Non contenti, in nome del “verde”, stanno trasformando le strade in deserti roventi, abbattendo alberi secolari, vivi e sani, per far passare due tram nel cuore della città, deturpandola.
Probabilmente coloro che siedono comodamente nelle sale delle istituzioni cittadine non hanno mai provato cosa significhi la paura, quel senso di angoscia misto a rassegnazione nel constatare di essere ignorati o, peggio ancora, di vedere le proprie parole respinte al mittente con sorrisini sardonici, come se fossero solo le lamentele di bambini piagnucolosi.
La nostra giunta ci considera incapaci di intendere e di volere; per questo dispone della città come se fosse una loro esclusiva proprietà, sicura che accetteremmo qualsiasi bugia. Come novelli Harry Potter, ci hanno fatto credere di essere in grado di spostare alberi o di piantarne altri, facendoli crescere in poco tempo grazie a presunte facoltà divinatorie.
Del resto, abbiamo assistito all’impresa di un elfo che ha sfidato la sorte e, sprezzante del pericolo, si è calato da Palazzo Vecchio. Aspettiamo fiduciosi altre imprese miracolose.
Voglio concludere con la celeberrima frase di Cicerone nelle Catilinarie:
“Quo usque tandem abutere patientia nostra?”
Non so voi, ma noi non ne abbiamo più.