Vannacci: il valore non basta senza strategia

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Il coraggio e la dedizione sono virtù, ma per vincere in politica servono strategia, alleanze e visione d’insieme

 

Di Francesco Gorini 

Premetto che apprezzo molte delle cose che Vannacci ha scritto nel suo libro “Il mondo al contrario”. L’ho trovato un tentativo sensato di tradurre nella vita civile alcune virtù tipiche dei militari di successo: impegno, dedizione, amore per la patria, meritocrazia. Molti dei radical chic che si sono affrettati a condannarlo non hanno mai letto neppure una riga. E avevano anche il coraggio di dirlo pubblicamente in televisione: il giudizio era solo ideologico, non entrava nel merito dei concetti esposti.

Ma questo non impedisce di vedere i limiti politici di Vannacci. I fatti parlano da soli: alle regionali toscane del 2025 la Lega, affidata da Salvini alla sua direzione strategica, ha perso quasi un terzo dei voti rispetto alle politiche del 2022. Inoltre, molti interventi pubblici di Vannacci — a mio giudizio e secondo numerosi osservatori — hanno contribuito a indebolire la campagna di Tomasi.

Il suo modo di parlare è da comandante che incita soldati poco equipaggiati prima di una battaglia, non da generale che pianifica nel lungo periodo. Se ti rivolgi a soldati in netta inferiorità numerica e tecnologica, insisti sul valore, sulle promesse in caso di vittoria. Ma se parli di come pianificare battaglie future, devi parlare di rilancio dell’università, di come migliorare le aziende, di come sviluppare centri di eccellenza scientifici e tecnologici, di logistica, di premialità per quei lavori che hanno un alto impatto sugli obiettivi strategici di una nazione. Perché il solo valore e l’impegno non bastano. L’Italia nella Seconda guerra mondiale ne è un esempio fulgido: il cuore non basta se mancano radar, carburante e si è in inferiorità sui mezzi meccanici e aerei.

I suoi discorsi celebrano onore, impegno, dignità, meritocrazia. Ma non basta evocare i corpi speciali. Bisogna spiegare come quelle qualità si applicano alla scuola, al lavoro, alla cittadinanza. Altrimenti restano slogan vuoti, utili solo per attrarre qualche nostalgico. E poi c’è l’errore comunicativo. Ogni parola che galvanizza i propri ma fa perdere credibilità agli alleati è un autogol. In campagna elettorale l’obiettivo non è strappare voti agli alleati, ma convincere gli indecisi. Chi combatte pensando solo alla propria famiglia, ignorando l’impatto che le proprie azioni hanno sulla coalizione, non agisce correttamente. E le azioni di Vannacci, a mio parere, sono andate in questa direzione. Un generale, anche di alto livello, non decide con chi allearsi. Lo decide chi sta sopra di lui. E se gli alleati non sono di suo gradimento, può sempre ritirarsi dal ruolo. Il simbolo della Decima Mas, da lui continuamente invocato, è un errore grave. Anche se il riferimento era agli eroi subacquei, a persone che con pochi mezzi riuscirono in imprese elevate (ma, comunque, ricordiamo che la guerra è stata persa, e in malo modo), la percezione pubblica è quella di Junio Valerio Borghese e del suo tentato golpe. La gente non distingue, e la sinistra è lì pronta a stravolgere il pensiero.

Tantissime metafore e paragoni di Vannacci si sono prestati a strumentalizzazioni. Il suo atteggiamento sembrava quasi dire: “Sì, so che quello che dico sarà strumentalizzato, ma il mio ragionamento fila e i miei saranno dalla mia parte”. Ma se il tuo messaggio allontana il potenziale votante, tiri un boomerang che ti si ritorce contro, con danno alla tua coalizione — e quindi al tuo partito— rilevante. Se Vannacci non capisce tutto questo, nel nostro interesse (forse anche nel suo, non lo so), è bene che si domandi se non sia il caso di abbandonare la carriera politica e godersi la sua meritata pensione. Perché con il valore si possono vincere le battaglie, ma per vincere una guerra occorre un’ottima strategia.