Di Sabrina Tanini
Stiamo assistendo, in questi anni, a una nuova fissazione: l’ossessione per la declinazione di genere. Nomi, professioni, participi passati. L’Accademia della Crusca si è espressa chiaramente, definendola una distorsione della grammatica. Questa mania ha contagiato tutto il femminismo linguistico, perfino l’urbanistica.
Ecco, invece di perdere tempo su questioni insignificanti, che nulla hanno a che fare con il reale progresso della società — come il ritorno al “voi” al posto del “lei”, di mussoliniana memoria — forse gli urbanisti potrebbero occuparsi di risolvere il problema della mobilità cittadina. Una mobilità che, di fatto, non esiste più. Lo sappiamo bene: per fare un chilometro ci vuole un’ora, con conseguente aumento dello smog, consumo di benzina, tempo perso e stress che si ripercuote sulla salute.
Sento parlare questi architetti (plurale generico) di “città inclusiva” e di “urbanistica di genere”. Perché, fino a oggi, le donne non potevano esercitare la professione di urbanista? (Eppure è un sostantivo che finisce per -a). Forse questa è la soluzione all’annoso problema del genere: una città intera, bloccata in un ingorgo perenne, dove nemmeno le ambulanze sanno da che parte passare; una città dove tutti, indistintamente — uomini, donne, bambini e animali — sono chiusi nello stesso piccolo spazio dell’abitacolo a imprecare o abbaiare.
E, parlando di diritti, vogliamo parlare di quelli degli alberi secolari abbattuti? Gli unici che potrebbero davvero salvarci dall’aria irrespirabile. Alberi che stanno sui Viali da 150 anni e che di stranezze umane ne hanno viste parecchie. Esperti urbanisti e politici vari, fatevene una ragione: la macchina ancora serve, e in certi casi è indispensabile — per le ambulanze, per portare i bambini a scuola e poi correre al lavoro, o per accompagnare un anziano dal medico. E non ci credo che la nostra tramvia coi pali, lenta come una lumaca, sia stata davvero la scelta più all’avanguardia.
Guardate in faccia la realtà: la città è diventata “inclusiva” specie per i tanti stranieri senza lavoro liberi di spostarsi gratis — e, in alcuni casi, di delinquere indisturbati. O forse per i turisti e qualche studente, uomo o donna che sia. Ma per il resto dei fiorentini — uomini, donne, omosessuali o bisessuali — la vita è peggiorata.
Ora in tanti saranno costretti a vendere l’auto, perché ad esempio, dove abito io, sul Lungarno Colombo, i parcheggi non esistono più da tempo, e non torneranno.
La verità è che, nella vostra presunta città ‘inclusiva’, noi fiorentini non siamo più i benvenuti.